domenica 21 marzo 2010

Imparare a specchiarsi per accogliere


cosa sgnifica includere?

Al di là degli stereotipi e della demagogia riflettere sull'inclusione e sui risvolti in termini di civilizzazione della società non è impresa semplice.

Cosa ci fa paura dell'Altro? spesso lo chiamiamo diverso, ma a ben guardarlo tale non è: ha la nostra stessa voglia di divertirsi, di imparare, di dignità. Eppure dobbiamo sforzarci per accoglierlo.

Come spesso ho ricordato qui l'Unione Europea non perde occasione per sottolineare l'importanza e la spinta che l'intercultura può rappresentare per una società, chiedendo agli Stati membri attenzione alla questione.

Accade invece che gli Stati, in particolare l'Italia, si esprimano nella propria schizofrenia sostenendo localmente progetti di inclusione decisamente interessanti come la Biblioteca interculturale di Pinerolo, ma allo stesso tempo il Sistema legislativo reagisce con risposte di "accoglienza" decisamente disintegranti tanto da contraddire il diritto alla studio. Abbiamo assistito alla sentenza della Cassazione che non considera la garanzia dell'apprendimento di bambini e adolescenti come prioritaria. Il diritto di un normale processo formativo di un ragazzo viene meno di fronte la salvaguardia della propria torre.

Come possiamo farci promotori di un'educazione alla Responsabilità [chiesta a gran voce da don Ciotti] in un contesto dove sembrano essersi ribaltate le priorità?

Mi vengono in mente le parole di Benasayag:
"L'educazione dei nostri figli non è più un invito a desiderare il mondo: si educa in funzione di una minaccia, si insegna a temere il mondo, a uscire indenni dai pericoli incombenti"


Lo sguardo sull'altro non è inteso come occasione di crescita e arricchimento, ma spesso come occasione per etichettare e declinare dei modelli da escludere o includere a seconda delle situazioni e dei tornaconti. Dietro le etichette si nascondono le insicurezze di una società e di una generazione che vive di stereotipi e di limiti. Perchè non riuscire a guardare oltre ciò che solo apparentemente vediamo ci pone dei limiti, ci fa adottare lo sguardo normalizzante.


Come ci ha insegnato Tiziano Terzani, ogni espressione di ogni civiltà ha il suo perchè e per quanto ci possa sembrare strano chi non si ribella è perchè intimamente non ne trova le ragioni. Ma è difficile per noi occidentali accettarlo, perchè il modello è solo ed unicamente il nostro.

[La libertà ognuno se la deve conquistare per conto suo. Si può aiutare, dare una mano, ma la libertà bisogna conquistarsela da soli. È come scalare le montagne: se si vuol godere di arrivare in cima alla montagna, non è che ci si può mandare un altro, non è che qualcuno ci può portare in cima con un elicottero… Quella montagna bisogna conquistarsela da soli.

Se le donne afghane trovano che il burqa sia qualcosa che offende la loro dignità, scaleranno quella montagna, arriveranno in cima e butteranno via il burqa. Non ci devono essere i paracadutisti americani che glielo vanno a togliere. -da un'intervista a Tiziano Terzani del 2002]



Troppo spesso ci arroghiamo il diritto di guardare l'altro per poter esprimere un potere, poterlo giudicare, analizzare, senza volerne condividere saperi e storie.

Integrare non significa sopportare per acquisire competenze e professionalità inesistenti o scomparse nella nostra società. Mi piace piuttosto la visione di Savater:
"L'emigrazione ci ha resi umani: questo processo di adattamento all'ignoto ha fatto dell'uomo quel che è oggi. E in questo mondo in cui è molto più facile sapere quello che accade altrove è inevitabile avere un alto livello di emigrazione per necessità, per motivi politici, per desiderio di miglioramento. Dobbiamo capire come adattare istituzioni che sono troppo chiuse a una situazione che comporta l'ospitalità. L'ospitalità è una delle grandi necessità della nostra epoca."


Ed è così che chi educa deve aiutare le persone a costruire la propria identità, considerando la conoscenza tacita delle persone* perchè si possa predisporre una società come Talcot Parson la pensava: mediazione tra le condizioni ambientali e il ruolo del soggetto che tra esse si muove, ma a partire dal voler sentire l'altro.

Chi educa deve inisidiare quel desiderio di migliormaneto citato da Savater.

Chi educa deve insegnare che l'altro non si guarda, ma che con l'altro ci si scambia lo sguardo.

Includere significa guardare l'altro per vedere noi stessi.

Gli altri sono il nostro specchio!


*Per conoscenza tacita si intende, in generale, ciò che si conosce, ma non si esprime perché non si può o sarebbe inutile farlo: "possiamo conoscere più di quanto possiamo esprimere" [Polanyi, 1966 ma anche 1958, 1969].

domenica 7 marzo 2010

Educare: la vera battaglia


Educare da educere, tirare fuori.

Un educatore deve tendere all'individuazione delle migliori caratteristiche da tirare fuori, da mettere in evidenza. Questo vuol dire che l'educatore tende a promuovere un cambiamento, attraverso il gap di conoscenze esistente tra lui e l'educando.

Il cambiamento avviene grazie all'azione combinata tra quello che è il potere riconosciuto dell'educatore e la sua capacità di entrare empaticamente nel mondo di chi ha di fronte. Per questo come già ho detto qui ascoltare è strategico e forse rivoluzionario.

Il cambiamento e la crescita individuale moltiplica le possibilità di cambiamento sociale.

In un tempo di modelli educativi [tradizionali] in crisi la responsabilità di chi si vede riconosciuto il ruolo sociale cresce e si arrichisce di significato, nonostante spesso venga messo in discussione anche da altri contesti che dovrebbero essere ugualmente educativi, come la famiglia.

Ma educare significa portare il singolo a socializzare e quindi ad emanciparsi, affinchè possa essere pronto per svolgere i diversi ruoli che la società gli richiede e diventare così Persona.

Frutto dell'educazione dovrebbe quindi essere la trasmissione di valori, ma senza correre il rischio che si sconfini nell'indottrinamento; la difficoltà sta nell'individuare il giusto equilibrio tra i diversi modelli educativi, affinchè si possa offrire un paradigma efficace dei diversi ambiti in cui l'individuo è costretto a muoversi nell'arco della vita, senza dimenticare che le strutture conoscitive, la personalità e le condizioni di vita sono variabili importanti del contesto in cui ha luogo l'apprendimento.

Un approccio maieutico vorrebbe che l'educatore sia portatore di un modello, diventando quindi un facilitatore attraverso il suo carisma. Educare significa quindi essere disposti a mettersi in gioco, a mettere in discussione i propri valori per poterli evolvere e in un approccio di ricerca e partecipazione, anche in una dimensione di apertura interculturale.

Educare è esporsi al rischio anche di un proprio cambiamento.

Se ascoltare può essere rivoluzionario, educare è combattere.