giovedì 20 maggio 2010

I respinti di strada

Piacevole incontro quello con il libro "I respinti sulla strada" e Sensibili alle foglie allo Stranamore di Pinerolo mercoledì 19 maggio.

Chi sono i respinti sulla strada?
Sono degli Invisibili...

Renato Curcio con semplicità, rispetto e discrezione ha raccontato i risultati di una ricerca sociale su Qualcuno di cui si parla poco, di cui non si può parlare, perchè parlarne significa dover ammettere delle lacune istituzionali.

Si tratta di minori, migranti senza alcun rapporto con gli adulti e le istituzioni, il cui contesto di riferimento è quello delle grandi città.

La ricerca sociale che ha portato alle stampe il libro ha visto come protagonisti 40 ragazzi migranti minori e la sollecitazione degli operatori di Belleville, centro diurno della periferia milanese. Il metodo è stato quello che caratterizza Sensibili alle foglie, senza gli strumenti tipici della ricerca sociale istituzionale, ma il racconto di storie.

Raccontare e studiare di questi ragazzi invisibili ha puntato i riflettori su un vuoto istituzionale che non prevede le strutture di accoglimento previste dagli accordi internazionali. Unica alternativa per questi ragazzi: la strada.

Ma chi sono? Curcio ci parla di quattro tipologie di minori migranti dando loro un volto:
  • volto triste: chi scappa dal proprio paese a causa della guerra. Non è l'Italia a interessare, ma la sua posizione strategica dal punto di vista geografico, sulla rotta Ancona/Patrasso
  • volto denutrito: chi lascia paesi dove le economie della sopravvivenza sono state devastate [come la Nigeria ad esempio dove l'Agip ha privato dei pesci un popolo che si sosteneva di pesca]
  • volto sorpreso: chi è mosso dalla speranza di trovare qualcosa che non trova nel proprio paese, che per sentito dire potrebbe rappresentare il benessere, ma che spesso si trasforma in una illusione migratoria.
  • volto determinato: chi vuole riposizionarsi nel mondo. Si tratta di giovani talenti, agguerriti, avanzati consapevoli di cosa stanno cercando e di cosa troveranno. Conosco molto bene il mondo in cui si sposteranno perchè l'hanno studiato nei minimi particolari anche sul web.
I ragazzi respinti sono consapevoli dei propri diritti, molto preparati e spesso con una cultura avanzata rispetto ai coetanei; sono pienamente coscienti che le istituzioni sono manchevoli nei loro confronti e per questo non possono prendere l'adulto come figura di riferimento. E' infatti l'adulto a sfruttarli in un sistema economico perverso e complesso.

Questi ragazzi sono invisibili perchè si mimetizzano, omologandosi ai coetanei della città. Il processo di scomparsa è voluto e organizzato, non si fa gruppo, ma si fa rete.

Restare in rete per i minori respinti significa essere fortemente uniti in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, perchè si sentono cittadini del mondo. Il contesto di riferimento non è quello di un territorio locale, ma una dimensione ampia direttamente collegata alle possibilità di lavoro.

Si tratta di ragazzi con competenze elevate a partire dalla propria esperienza [forte scolarizzazione informale].

La fluttuazione irregolare ha determinato per esempio una profonda conoscenza delle regole e delle leggi di ogni paese.
La necessità di fare rete li ha resi decisamente competenti nell'uso delle teconologie [Curcio raccontava che alcuni dei ragazzi intervistati piuttosto hanno rinunciato a mangiare, ma non al telefonino o alla possibilità di una connessione internet].

Si tratta di ragazzi che vivono un presente ultrarapido, coscienti di transitare in un mondo che cambia, che si fa fluido in cui pretendono di collocare la propria posizione.

Il tema del viaggio diventa, grazie a questi Invisibili, quasi qualcosa di sovversivo. Ci viene il dubbio che questi ragazzi vogliano proporre una mondializzazione non selvaggia, ma di incontro.

Incontro non è integrazione. E' molto di più. E' andare oltre al produrre, ma contribuire a costruire una società [anche economica, manon solo]

Ripensare la questione nei termini dell'Incontro è chiarire che il problema riguarda noi e non loro!

[vi consoglio la lettura del libro per entrare nel vivo delle storie]

martedì 11 maggio 2010

Dalle passioni tristi ...alle passioni gioiose, per una Nuova Società

Condivido alcune riflessioni e sollecitazioni [i miei appunti] che sabato 8 maggio a Pinerolo, Benasayag ospite di Pensieri in piazza ha regalato alla platea.

Il tema affrontato, in linea con la manifestazione di quest'anno, era Paura e Libertà.

  • La libertà è stata identificata con l'idea del mondo possibile: una promessa! L'Uomo si è pensato nel corso dei secoli come una marionetta a cui venivano mossi i fili, che nel tempo ha pensato di affrancarsi imparando a muoverli [quei fili] ma al posto di trovare la promessa, si è trovato una dipendenza totale.

  • La nostra società ha concepito il concetto di futuro, topologizzando il tempo...considerandolo come un linea retta e senza curve: il futuro come un'autostrada. Il futuro della società moderna è considerato in maniera totalmente negativa, una minaccia.

  • Un tempo la Libertà era associata al Dominio e al Potere sulla Natura: l'Uomo si sentiva libero di usare e modificare la natura a proprio uso e consumo.

  • Accettare che il futuro non deve essere scoperto, nella consapevolezza che esiste una combinazione di potenzialità e che nulla può essere preordinato e programmabile, è molto duro per un uomo del Presente.

  • L'Uomo del Presente non è più in grado di gestire il negativo [di accezione hegeliana], ne ha perso il valore positivo, che ne faceva un elemento che che poteva mostrare la strada.

  • Bisogna riconquistare e riappropriarsi della promessa anche se questo vuol dire gettare le persone nell'impotenza e nel pericolo.

  • L'Uomo si crede libero perchè ignora le sue catene, non ne conosce le origini e la sostanza. Acquisire consapevolezza delle proprie catene è un passo fondamentale per inizare il cammino verso la Libertà. Riappropriarsi della Speranza è un ulteriore passo in avanti, poichè l'Uomo del presente vive la Speranza come una passione triste [Spinoza] che gli impedisce di vivere con leggerezza l'attesa dell'avvenire, gettandolo [appunto] in un cinismo senza speranza!

  • La società ha bisogno di passare dalle passioni tristi a quelle gioiose, perchè la democrazia non è sufficiente da sola per risolverne i problemi.

  • Non sono i tecnici come intendeva Platone [La Repubbica] a potersi occuppare della società, perchè la tecnologia modella il nostro mondo e la sola struttura democratica non è sufficiente per affrontare certe questioni.

  • Così come un approccio sofista [e qui l'occhiolino di Benasayag con ammiccamenti alla vita politica italiana ha destato l'ironia del pubblico] che convince le folle non può portare a nulla di buono per il bene ultimo della collettività.

  • Bisognerebbe creare una società che si fondi sulla saggezza popolare: una delle grandi sfide è quella di riappropriarsi delle conoscenze [e conoscere le nostre catene]. Solo riappropriandoci della paura della libertà possiamo anche riappropriarci dei saperi necessari per agire.

Come non pensare a questo proposito alla grande importanza che ha l'insegnamento delle cosiddette competenze trasversali per i nostri ragazzi, quelle che li aiutano a diventare cittadini, che li portano alla consapevolezza di un saper essere, senza il quale non ci può essere un saper fare spendibile in toto.

Dovremmo imparare a pensare l'Uomo nella sua complessità.

Per usare una metafora mi viene da dire che forse i nostri ragazzi non hanno bisogno di tecnici, ma di qualcuno che sappia farsi mediatore delle passioni gioiose. Accanto alla letteratura, alle scienze devono poter affrontare il saper vivere che si esprime in quella conoscenza delle catene di cui parla Benasayag. Dobbiamo imparare a mettere in pericolo in nostri ragazzi, le nuove generazioni, se vogliamo costruire una società forte e consapevole che non cada nel senso di onnipotenza che rende ..tristi.

Solo guardando le nuove generazioni in tutti gli aspetti, in tutte le caratteristiche senza pregiudizi si potrà cogliere l'origine del cammino verso la promessa.
E' necessario rischiare. Il rischio è aiutarli ad essere liberi.

giovedì 6 maggio 2010

Tra competenze e prestazioni...



ritornando alle competenze...
La scuola italiana si sta riformando a piccoli passi, a singhiozzo e tra le contraddizioni. Nel 2007 Fioroni con il famoso decreto di fine agosto ci aveva propinato gli assi culturali, mettendo l'accento su una modalità fondata non più sui saperi, sulle nozioni di una scuola vecchia e monotona, ma piuttosto sul saper fare, sul contestualizzare, codificare, digerire le conoscenze affinchè possano diventare competenze.
Grazie agli assi culturali si sono declinati quelli che dovrebbero essere gli standard di appredimento attraverso conoscenze, competenze e abilità.

Sicuramente questo sistema obbligherebbe a sganciarsi dai vecchi programmi la cui scarsa validità didattica è garantita. La Formazione Professionale per assicurarsi la presenza nel Sistema, nella progettazione dei propri percorsi formativi ha dovuto tenere conto degli assi culturali, anche a costo di perdere alcune sue caratterizzazioni.

Valutare per competenza significa guardare gli studenti a tutto tondo, in una visione olistica.
Come ci insegnano Lyle e Signe Spencer una competenza è complessa e si compone di cinque elementi:
  1. la spinta motivazionale
  2. le caratteristiche caratteriali
  3. l'immagine di sè
  4. le conoscenze
  5. le abilità a svolgere un dato compito

Per questa ragione non ci si può fermare ad una didattica fatta di informazioni e sganciata dal contesto di riferimento. La didattica per competenze impone che si progetti e si personalizzi, per rispondere alle necessità di ognuno relativamente alle attitudini che gli sono proprie. Chi ha la responsabilità educativa e formativa non può dimenticare che ogni apprendimento deriva dall'esperienza, e come dice Michele Pellerey ogni esperienza si accompagna ad una sfida.

Come alcuni ricercatori americani dell'Università di Rochester hanno teorizzato, le persone hanno l'esigenza di sviluppare e coltivare competenze per trovare motivazioni. Se ci si sente competenti facilmente ci si impegna maggiormente e di conseguenza il livello della prestazione sale.
Ma attenzione a non confondere la prestazione con la competenza!

Come Bruno Bara nel suo libro Pragmatica cognitiva chiarisce:

competenza è l'insieme delle capacità astratte possedute, prestazione è l'insiema delle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in azione, desumibili direttamente dal suo comportamento in una specifica situazione.


Essere competenti significa saper attingere alle proprie risorse interiori, a partire dall'esperienza per far tesoro del proprio fare, che si traduce in quella Virtù che Aristotele aveva posto come condizione per la razionalità pratica nell'Etica a Nicomaco.

In sintesi il mio saper fare deriva e dipende dal mio saper essere.
I ragazzi hanno bisogno del nostro aiuto per coltivare le proprie Virtù.
Ma le Virtù non sono misurabili in decimi come il nostro Ministero ci chiede.

Quindi come la mettiamo?

martedì 4 maggio 2010

Dal Ministero: il modello per la certificazione delle competenze



E così arrivò il Decreto...attraverso la circolare regionale n.141

Si tratta dell'indicazione, da parte di Mariastella Gelmini, dell'adozione del modello di certificazione dei saperi e delle competenze relative all'assolvimento dell'obbligo di istruzione nella scuola secondaria superiore.

La novità è che finalmente Istruzione e Formazione Professionale dovrebbero parlare una lingua comune, perchè il modello è lo stesso
allo scopo di garantirne la confrontabilità
[come si dice nelle indicazioni allegate la circolare].

Pari dignità dunque [davvero?]

Sorpresa: i discenti sono per entrambi i sistemi studenti e studentesse...mentre fino a poco tempo fa per la Formazione Professionale si parlava di allievi! [segnale o distrazione?]

Qualche contraddizione: chi lo dice al Ministero che le competenze non si misurano in decimi?