giovedì 25 novembre 2010

25 novembre

E' successo che con alcune colleghe abbiamo fatto vedere video e animato discussioni per risvegliare i cervelli sul tema: 25 novembre Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.

E' successo che a fatica alcuni di loro hanno cambiato opinione, o semplicemente si sono fatti un'opinione.

E' successo che ...i ragazzi hanno pensato a sè, agli altri e al modello che ci viene imposto quotidianamente.

E' sucesso! pensandoci...le cose possono cambiare.

domenica 21 novembre 2010

Buon viaggio Professore

C'eravamo tutti questa sera.

Alberto Barbero prosegue il suo viaggio, non più sulla terra. Chissà dove, ma sicuramente nella memoria e nella storia della sua cittadina amata e servita per così tanto tempo.

A maggio lo incontrai, ma io ero di fretta e forse anche lui...ci siamo salutati fugacemente, al contrario di come si faceva di solito. Un paio di giorni dopo...la malattia.

Ho pensato tanto a quel momento in questi mesi. Avrei voluto parlarti e ascoltarti. Come spesso succedeva quando ci si incontrava, quasi sempre nei pressi del Comune e Tu con quell'aria un po' svanita, di chi ha tanti pensieri che si incrociano, avevi sempre un attimo per chiedermi se stavo bene.

Quando ti ho conosciuto ero una bambina e sono cresciuta respirando l'aria del confronto e della consapevolezza sociale, grazie a Te, mio padre e chi con voi discuteva.
Erano gli anni in cui la sinistra aveva un'unica identità.
Erano gli anni delle Feste de l'Unità a cui ci dedicavamo tutti con gioia e convivialità, offrendo ognuno le nostre capacità e specificità.
Erano gli anni della Democcrazia Cristiana a Pinerolo e in Italia, e io quasi adolescente tenevo impegnata la mia insegnante di italiano raccontando i tuoi interventi in Consiglio Comunale, con somma gioia dei miei compagni di classe, perchè il tempo passava e la lezione saltava.
Erano gli anni di Cronache del Pinerolese, un bellissimo esempio di giornalismo locale e di opposizione che tu hai cresciuto e diffuso. [anche qualcosa di mio fu pubblicato su quelle pagine, una poesia]

Due libri importantissimi per me, me li hai regalati Tu: La collina dei conigli e Il Piccolo Principe; soprattutto il secondo mi è venuto in soccorso tante volte nella vita.

Mi hai sempre detto che la Politica era Servizio e si intuiva non potessi farne a meno. Ma quando hai cominciato a parlarmi dei nipotini, di come rappresentassero la linea di continuità con ciò che eri stato, si capiva che la vita aveva preso una svolta.

Quando mi incontravi nella vita professionale mi guardavi sempre con affetto, ma percepivo la stima. E per me era importante.

Pinerolo non potrà dimenticare il Tuo impegno.

Marco e Luca hanno un'eredità ricca e preziosa adesso. E stasera c'eravamo davvero tutti a dimostrarlo.

Buon Viaggio Professore.

martedì 16 novembre 2010

Cangiari

Vincenzo Linarello.
Ho aggiunto questo nome alla lista delle persone che mi piace considerare silenziosi eroi del nostro tempo.

A Pinerolo, grazie alla volontà di Fidapa, dell'Assessore Alchera e con la collaborazione del dirigente del Liceo Scientifico Curie, il 16 novembre Linarello ha parlato ad una platea numerosissima di ragazzi raccontando che una nuova resistenza è possibile.

Vinenzo Linarello è il presidente di Goel, un consorzio di cooperative sociali che sta cercando di seminare nella Locride un processo di cambiamento.
Goel è nato nel 2003 grazie alla spinta di Mons. Bregantini, un vescovo dal passato operaio e un presente più che mai pragmatico, capace di dimostrare che l'ndragheta ha paura della luce [Non a caso nel 2008 è stato improvvisamente trasferito].

Nella Bibbia il goel era il riscattatore, colui che permetteva la redenzione dei debitori, che salvaguardava il patrimonio; nella Locride Goel vuole essere lo strumento di riscatto di una terra sfruttata e impoverita dai poteri occulti e dalle affiliazioni mafiose.

Goel crea posti di lavoro, spazi di confronto e innesca processi di cambiamento.

La vera sorpresa è che il cambiamento è affidato a un settore che nell'immaginario solitamente è considerato frivolo e superficiale: la moda. Ecco che nasce un marchio, il primo brand totalmente etico: Cangiari [in calabrese cambiare, appunto!]

Cangiari propone un nuovo modo di intendere la bellezza: l'etica della bellezza, partendo dai materiali [tessuti interamente prodotti a mano e provenienti da coltivazioni biologiche], passando attarverso gli strumenti [lo show room milanese è in un palazzo confiscato alla mafia]

La passione con cui Vincenzo racconta quanto le energie di poche persone che ci credono abbia creato movimennto, rumore e abbia costruito tanto per la sua terra è emozionante e virale. Ad ascoltarlo non si può rimanere indifferenti.

Questo post lo scrivo per un senso di dovere civile e con la consapevolezza che il cambiamento è necessario. Non si tratta di un gesto di solidarietà al sud, alla Calabria, una risposta empatica ad un incontro fortuito. E' la precisa volontà di produrre pensiero in merito a qualcosa che ci riguarda tutti.

Oggi la Lombardia, il Piemonte e l'Emilia Romagna sono regioni ad altissima infiltrazione dell'ndrangheta, organizzazione che ha un giro d'affari pari al bilancio di un piccolo stato europeo. Non è più una questione meridionale!

Per questo, come dice Linarello, è necessaria un'alleanza!
L'alleanza con la Calabria diventa una campagna sul web da cui nasce la manifestazione del 1 marzo, in marcia contro la mafia.

Educare alla cittadinanza significa mostrare modelli, concreti e al passo con i tempi.
Cambiare il mondo si può!

lunedì 15 novembre 2010

Asimmetrie

Giovedì mentre rientravo dal lavoro qualcosa ha turbato la mia emotività. Ho capito subito che non stava succedendo nulla di buono. Arrivata a casa già tutti i media ne parlavano.

Quello che ho visto non mi è piaciuto perchè si trattava di immagini condivise con bambini piccoli, molto piccoli.

Per tornare a casa passo davanti a quello che in tutta Italia è risuonato come l'asilo degli orrori.

Non voglio entrare nel merito di quanto è potuto succedere, la magistatura farà quello che deve. Ma in questi giorni tante riflessioni e pensieri mi hanno tenuta occupata: quanto in tutta questa storia abbiamo davvero tenuto conto dei bambini, delle loro sensibilità, delle potenziali e reali paure?

Ho visto genitori manifestare il disgusto per le maestre con i bimbi in braccio. Non è anche questa una violenza?

E' ora il momento dei detrattori e dei sostenitori, tanto da permettere anche la strumentalizzazione politica. Ma qui non c'entra la storia della riforma e dei finanziamenti alla scuola privata.

Questa è un'altra storia.

E' la storia di un mondo che risponde ai meccanismi che gli adulti hanno saputo costruire senza tenere conto dei bambini, dei loro bisogni e delle loro sensibilità. E' la storia degli adulti che pur di essere protagonisti e sfruttare un piccolo spazio di delirante celebrità, con leggerezza mettono di fronte alle telecamere gli stessi bambini allontanati dalle maestre cattive.

Le minacce, l'aggressività che vedo, che sento attraverso i media e direttamente in città mi insospettiscono. Quale modello stiamo declinando per i nostri bambini e ragazzi?

I media ne approfittano e cavalcano il momento e non ci rendiamo conto di diventarne complici, sostenendo una simmetria di reazioni a quanto accade. E se rispondessimo in modo asimmetrico a quanto ci accade attorno? Non sarebbe una nuova strategia educativa?

Non possiamo sostenere la responsabilità verso i nostri bambini e ragazzi di essere complici di una strumentalizzazione che non permette più di Pensare, ma che replica violenza e risponde all'aggressività con altra forma di aggressività.

Prendiamo le distanze per un attimo e cominciamo a riappropriarci dei nostri pensieri. I nostri bambini ne gioveranno, ne sono sicura.

domenica 7 novembre 2010

Il corpo delle donne

Da un po’ di tempo guardo poco la tv, e non per un atteggiamento snobistico e sinistroide...semplicemente va così.

Sarà per questa ragione che nel vedere il video che Lorella Zanardo ha presentato presso l’aula magna del Sumi a Pinerolo, ho sentito un forte disagio [potete vederlo qui].
In reatà il video lo avevo già visto, distrattamente sul web, e i programmi da cui sono tratti i fotogrammi e le sequenze che la Zanardo, insieme a Cesare Cantù e Marco Malfi Chindemi hanno scelto dopo la visione di 400 ore di televisione di intrattenimento, di tanto in tanto mi era capitato di intercettarli. Sarà stato proprio il digiuno, ma questa volta queste immagini hanno reso l’aria irrespirabile, un pugno nello stomaco. Un pugno nello stomaco di Persona e non di Donna.

Il filo conduttore della televisione di intrattenimento italiana sembra essere l’umiliazione. Perchè?

E’ il non saper rispondere alla domanda, il non riuscire a trovare ragionevoli motivazioni alla scelta di una donna bella e mediamente intelligente di dare di sè un’immagine parziale, che risponde ad un modello unico imposto forse solo dal mercato, che mi tormenta e mi frustra.

Certo è che nel rivedere il video ho riconosciuto tanti atteggiamenti, tanti stili, tante urla che quotidianemente intuisco nei ragazzi che incontro, come se esistesse un paradigma certo e definito di comportamenti le cui declinazioni determinano l’essere in o out. Se anche la tv è parte integrante dell’educazione, perchè parte dell’ambiente. [Popper diceva che insegnare significa influenzare l’ambiente] allora questa questione ci riguarda. Ci riguarda come genitori, come educatori, come Persone. Non è questione delle Donne. E’ una questione di Tutti!

Dalla tv italiana è sparita la donna adulta, è sparito il volto vissuto con il racconto delle vittorie e delle sconfitte che i segni del tempo sono capaci di raccontare, come se portarsi dietro la propria faccia fosse un segno di coraggio.

Se la scelta di intervenire chirurgicamente resta un fatto privato [...] la scelta di proporre all’interno di uno strumento mediatico quasi soltanto volti innaturalmente giovani non è invece scevra di ricadute sulle quali è urgente discutere. [...] perchè la televisione crea modelli.
[da “Il corpo delle donne” Feltrinelli]

Molto interessante il contributo di Cesare Cantù che ha dato alcune delucidazioni in merito alla gestione dell’ Auditel in Italia, causa principale della programmazione televisiva e quindi complice del degrado testimoniato dal documentario. Mi riprometto di approfondire la questione, ma una prima riflessione è spontanea: può il controllato e il controllore coincidere?

Una precisazione: il Censis dice che l’Italia è al primo posto in materia di trash televisivo.

Lorella Zanardo ha avuto un’intuizione che, nata sull’onda di un moto passionale, senza denaro e solo grazie al web, è diventata un progetto che si fa strada e concretamente porta frutti. Ora tocca a noi rispondere al suo invito: guardare la tv, guardarla con consapevolezza per prestare gli occhi a chi consapevole non lo è ancora, perchè boicottare non serve a nulla.

A questo proposito aggiungerei un piccolo suggerimento: scriviamo a Fabio Fazio per chiedergli come mai tra i suoi 40 ospiti fino ad ora ci sono state solo 4 donne...così per sapere.

giovedì 4 novembre 2010

Una cena speciale con Danila e Marco e poi Fabio


Persone Speciali che mi hanno raccontato una storia Speciale. La storia è quella di Enaiat, quella dei Coccodrilli. Danila e Marco i genitori affidatari, Fabio lo scrittore.

Ma stasera attraverso i sorrisi di queste Persone così serene e così solari il racconto si è fatto più vero, più tangibile. Stupefacente è la semplicità con cui queste tre persone straordinarie hanno saputo declinare qualcosa di davvero Eccezionale.

E’ difficile poter trasmettere attraverso le parole le sensazioni positive che i tre mi hanno lasciato e regalato. Prima tra tutte la necessità e la voglia di incontrare l’Altro nelle sue caratteristiche e differenze, senza inquinarlo, ma con la sola voglia di CONOSCERE.

Chi sei? Che storia hai?

Abbiamo il dovere di cercare il nostro Enaiatollah in chiunque ci incroci e che abbia qualcosa da raccontare, abbiamo il dovere di insegnare ai nostri ragazzi a cercare le storie accanto a loro, nella loro quotidianità.

Danila ci ha raccontato del suo impegno come educatrice, dello stupore dei ragazzi afgani per le piccole cose e per la capacità di stabilire empatia.

Marco ci ha spiegato quanti secoli ci separano dalla loro cultura e quante interpretazioni siano possibili del termine civiltà. [Entrambi ci hanno timidamente invogliato a fare esperienze simili alla loro] Tanti dubbi e soprattutto il senso di frustrazione nella consapevolezza che l’Italia è ancora decisamente indietro nella politica dell’Accoglienza [e alla Politica quanta ignoranza conviene coltivare ...] Giustifica Cominciamo Noi...

e intanto grazie... a Voi

A Torino si occupano di ragazzi come Enaiat gli operatori dell'associazione ASAI.

mercoledì 27 ottobre 2010

Nel mare ci sono i coccodrilli...aspettando un incontro


Non vuole essere una recensione la mia, ma semplicemente la condivisone di alcune emozioni.

Non sarà una sintesi della trama, non avrebbe senso. La vita di un uomo non può ridursi in trama.

“Nel mare ci sono i coccodrilli” racconta di un gesto d’amore che nasce da una buca, di un abbandono che è salvezza; racconta di un un viaggio che ha regalato amici e una rivelazione:
nel mare i coccodrilli non ci sono, ma i coccodrilli si possono trovare ovunque.

Non servono molte parole per parlare dell’ultimo libro di Fabio Geda, forse ne basta una sola: Speranza. Infatti una sensazione positiva mi ha pervasa per tutta la lettura del libro, nonostante il racconto fosse tutt’altro che felice e forse, a tratti lasciasse qualche spazio di inquietudine.
Ma l’ottimismo con cui Geda ha saputo mediare la vita e il racconto di Enaiatollah è lo strumento che permette la lettura senza alcuna fatica emotiva. Anche quando la storia prende le pieghe peggiori, c’è sempre lei, la Speranza che prende per mano il lettore quasi a tranquillizzarlo, come a dire: se ce l’ha fatta lui...per te è una passeggiata.
La storia di Enaiatollah è accompagnata da persone positive, non innumerevoli, ma è un ritorno costante. Tanto costante da imprimersi nella sensibilità di chi legge. Ciò che solleva è che la storia è vera e se è vera, sono vere anche le persone positive: questa è la Speranza.
“La signora è importante per quello che ha fatto. Non importa il suo nome. Non importa com’era la sua casa. Lei è chiunque. Chiunque si comporti così”


Il libro è pieno di spunti di riflessione che spaziano dall’antropologia, alla sociologia, dalla politica, all’economia: è la storia di un piccolo uomo che ha bisogno di respirare, come egli stesso dice:
“Una volta ho letto che la scelta di emigrare nasce dal bisogno di respirare. E’ così. E la speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento.”
Ed è attraverso questa ricerca di ossigeno che il racconto si fa formativo ed educativo; attraverso il passaggio dall’infanzia all’adolesceza di Enaiatollah cresce la consapevolezza di chi legge rispetto a tematiche che ci appaiono lontane sia fisicamente sia moralmente.
Paradossalmente mi piace pensarlo dedicato agli adulti...[ma facciamo in modo che i ragazzi lo leggano]


Per chi volesse approfondire presso il circolo Stranamore a Pinerolo il 3 novembre 2010 alle ore 20.45 ci sarà un incontro con Fabio Geda.

martedì 26 ottobre 2010

VESPA un progetto degli studenti per gli studenti

Ogni persona per cercare la propria felicità deve poter essere SOVRANA: cioè protagonista del proprio destino
.

Questa è la convinzione di ACMOS, associazione che si prefigge di promuovere e sostenere l’inclusione democratica. Una delle priorità d'intervento dell’Associazione è l’Educazione alla Cittadinanza, come strumento affinchè le “persone possano essere protagoniste della storia”.

E’ in questa dimensione che si colloca il progetto VESPA: un progetto che vede il sostegno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e della Provincia di Torino.

La VESPA [Valutazione Esperienza Scolastica Partecipata] parte dall’idea del “Diritto a Scuola” come componente essenziale della vita democratica di un Paese.
Gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado che aderiscono al progetto si incontrano con cadenza periodica per confrontarsi e costruire, anche attraverso incontri con esperti, strumenti di valutazione e autovautazione della scuola.

I canali di valutazione si muovono attraverso tre grandi categorie: le relazioni che si instaurano negli spazi scolastici e la conseguente generazione di capitale sociale; il desiderio di inclusione come strumento di miglioramento individuale; il sentirsi strumento del proprio processo di apprendimento.

La VESPA si può sintetizzare come un dispositivo per contrastare il conflitto e saldare il naturale desiderio dei giovani di stare insieme.
La VESPA nasce dalla consapevolezza che la Scuola non ha più unicamente il ruolo educativo: è ormai un servizio sociale. La scuola inclusiva si fonda sul capitale sociale, sulle reti di relazioni che si costruiscono grazie anche alle esperienze scolastiche.
La Scuola spesso è il luogo in cui ricercare le problematiche esterne degli adolescenti: perchè non approfittarne e dare ufficialità al ruolo?

Il progetto si è avvalso di tre strumenti principali: i questionari, i focus group e il concorso letterario. I cinque migliori elaborati sono stati pubblicati in un libretto dedicato a Vito Scafidi [morto al Darwin di Rivoli il 22 novembre 2008]

Per chi fosse interessato al progetto può prendere contatti direttamente con la segreteria di Acmos vespaòacmos.net

sabato 25 settembre 2010

[OT] Serendipidità


Succedono cose strane, sorprendenti e quasi un po' ...magiche.

Ho dovuto guardare più e più volte per poterci credere.

Ho pensato di essere diventata matta e soprattutto egocentrica in maniera patologica.

Poi ho chiesto ad un amico di guardare il link al posto mio...

E' proprio così...esiste un cappello che porta il mio nome, ma per intero con tanto di cognome.

Ma la cosa più bizzarra è che nell'estate ho davvero osato mostrarmi così:


Che io abbia fatto tendenza? mi piace sognarlo il tempo di un post :)

Beh...mi sa che mi hanno conquistata!

[però se vi capita a quelli di Zara ditelo che Lia Bianco esiste!]

martedì 21 settembre 2010

I ragazzi...con la pistola

E’ successo!
E’ successo proprio quello che i paradossi dei detrattori della Signora da tempo temevano:
la dissacrazione della scuola e del nobile significato del verbo educare.

E’ successo che la Signora e il Signore hanno pensato che ai ragazzi mancasse soltanto un po’ di competenza militare...per allenarli alla vita.

Sui power point di presentazione si dice che l’obiettivo è sportivo, ma le immagini sono militari, che più militari non si può.

Il Signore e la Signora ci vogliono far credere che il valore della Costituzione si apprende attraverso una pistola ad aria compressa.



Ho sentito il dovere di non lasciare la pagina bianca rispetto a questa attività così alternativa e innovativa...ma l’imbarazzo prevale e mi trovo nella totale incapacità di esprimere un qualunque banale pensiero. Sarà perchè è talmente banale pensare che una Scuola che impone l’insegnamento della Religione Cattolica [non dice porgi l’altra guancia?] non è coerente con le pratiche militari.

Ma forse sono io malpensante, perchè infondo non si vuole che
insegnare ai giovani l’importanza dell’impegno e dello spirito di sacrificio per crescere e prepararsi alla vita, promuovendo capacità importanti quali leadership, disciplina, intraprendenza, indipendenza e resistenza.


Per una volta sono felice della discriminazione che in Italia continua ad esserci nei confronti della Formazione Professionale...il vantaggio è che a nessuno interessa allenare ragazzi del fare alla vita.

[ un interrogativo mi ronza insistente: cosa penserebbero adesso persone come questa? ]


Io preferirei sapere che i ragazzi italiani visitano mostre, leggono libri e si affidano a insegnanti che possono ancora amare il proprio lavoro perchè dignitoso e riconosciuto.

Chissà se il Signore e la Signora sanno che
Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere
[L’arte della guerra, Sun Tzu]

Prendersi cura

La mia collega Daniela mi ha fatto conoscere questo video...
Mi sembra il caso di condividerlo: qualsiasi commento sarebbe eccessivo.

Auguro a tutti di coglierne il senso più profondo.

Buona visione!

giovedì 2 settembre 2010

Pensieri...a prestito

L'educazione che ricevono, specialmente in Italia, quelli che sono educati [che a dir vero, non sono molti], è un formale tradimento ordinato dalla debolezza contro la forza, dalla vecchiezza contro la gioventù. I vecchi vengono a dire ai giovani: fuggite i piacere propri della vostra età, perchè tutti sono pericolosi e contrari ai buoni costumi, e perchè noi che ne abbiamo presi quanti più abbiamo potuto e che ancora, se potessimo, ne prenderemmo altrettanti, non ci siamo più atti, a causa degli anni. Non vi curate di vivere oggi; ma siate ubbidienti, soffrite, e affaticatevi quanto più sapete, per vivere quando non sarete più a tempo. Saviezza e onestà vogliono che il giovane sii astenga quanto più possibile dal far uso della gioventù, eccetto per superare gli altri nelle fatiche. Della vostrra sorte e di ogni cosa importante lasciate la cura a noi, che indirizzeremo il tutto all'utile nostro. Tutto il contrario di queste cose ha fatto ognuno di noi alla vostra età, e ritornerebbe a fare se ringiovanisse; ma voi guardate alle nostre parole, e ai nostri fatti passati, nè alle nostre intenzioni. Così facendo, credete a noi conoscenti ed esperti delle cose umane, che voi sarete felici. Io non so che cosa sia inganno e fraude, se non è il promettere la felicità agl'inesperti sotto tali condizioni.

L'interesse della tranquillità comune, domestica e pubblica, è contrario ai piaceri ed alle imprese dei giovani; e perciò anche all'educazione buona, o così chiamata, consiste in gran parte nell'ingannare gli allievi, acciocchè pospongano il comodo proprio all'altrui. Ma senza questo, i vecchi tendono naturalemente a distruggere, per quanto è in loro, e a cancellare dalla vita umana la gioventù, lo spettacolo della quale aborrono. In tutti i tempi la vecchiaia fu congiurata contro la giovinezza, perchè in tutti i tempi fu propria degli uomini la viltà di condannare e perseguitare in altri quei beni che essi più desidererebbero a sè medesimi. Ma però non lascia d'esser notabile che, tra gli educatori, i quali, se mai persona al mondo, fanno professione di cercare il bene dei prossimi, si trovino tanti che cerchino di privare i loro allievi del maggior bene della vita, che è la giovinezza. Più notabile è, che mai padre nè madre, non che altro istitutore, non senti rimordere la coscienza del dare ai figliuli un'educazione che muove da un principio così maligno. La qual cosa farebbe più maraviglia, se già lungamente, per altre cause, il procurare l'abolizione della gioventù non fosse stata creduta opera meritoria.
Frutto di tale cultura malefica, o intenta al profitto del cultore con rovina della pianta, si è, o che gli alunni, vissuti da vecchi nell'età florida, si rendono ridicoli e infelici in vecchiezza, volendo vivere da giovani; ovvero, come accade più spesso, che la natura vince e che i giovani vivendo da giovani in dispetto dell'educazione, si fanno ribelli agli educatori, i qualise avessero favorito l'uso e il godimento delle loro facoltà giovanili, avrebbero potuto regolarlo, mediante cconfidenza degli allievi, che non avrebbero mai perduta.
[da Pensieri di Giacomo Leopardi]

domenica 6 giugno 2010

Orientamento e pari opportunità: convegno nazionale e spontanee riflessioni


Il 28 maggio la Regione Piemonte ha ospitato, nonché promosso il Convegno Nazionale "Orientamento: dal Rapporto Nazionale alle esperienze locali", padrona di casa la Consigliera di Parità Alida Vitale, perché l'ottica della giornata era quella di genere e delle pari opportunità.

Per me l'approccio è stato dal punto di vista emotivo abbastanza forte perché a portare i saluti istituzionali non c'era più Giovanna Pentenero, bensì Roberto Rosso. Ma non voglio fare nessuna riflessione politica, anche perché sarebbe imbarazzante commentare l'uscita dell' Assessore, che ha ventilato l'ipotesi [data quasi per scontata] dell'introduzione anche in Piemonte del Sistema Dote, come in Lombardia.

Purtroppo la giornata si è conclusa con l'amaro in bocca, le notizie raccolte dai vari oratori intervenuti al convegno non sono riuscita a farmele suonare positive.

Anna Grimaldi nel presentare il Rapporto Nazionale sull'Orientamento non ha potuto fare a meno di riflettere su quanto poco siano integrati i vari sistemi di Istruzione, Formazione e Lavoro. Da quando lavoro nella Formazione Professionale sento dire che è necessario integrare, le varie riforme ci hanno anche provato, ma quando si cercano dati oggettivi si percepisce che il disorientamento dei nostri ragazzi è determinato dal Sistema che parla diverse lingue a diversi livelli.
L'Orientamento dovrebbe essere la strategia per combattere la dispersione scolastica, per permettere l'incontro tra attitudini e necessità di mercato, ma senza una vera politica tutto questo è destinato a restare pura ideologia. Infatti, come ci ha fatto notare il direttore Istruzione, Formazione Professionale e Lavoro della Regione Piemonte, Ludovico Albert, i famosi obiettivi di Lisbona non sono stati raggiunti e il 2010 è adesso! Anzi c'è stata un'inversione di tendenza: solo 6 maschi su 10 passano dalle Scuole Medie alla Superori. Sono aumentati i bocciati, ma diminuiti i ripetenti, il chè vale a dire dispersione.

La crisi è complice! questa è stata la frase che ha risuonato in tutta la giornata.
La crisi è complice perché ha dirottato denaro stanziato per altri obiettivi a risolvere, o perlomeno a dare dimostrazione di volerci provare, le difficoltà che il mercato piemontese ha incontrato.
La crisi è complice perché il mondo del lavoro, respingendo gli uomini ha fatto fare un passo indietro alle donne, il cui tasso di occupazione è al di sotto del 50%, sebbene producano il 70% della produzione mondiale.
La crisi mette in luce, ci dice Adriana Luciano, la mancanza di strutture e servizi che avremmo dovuto costruire vent'anni fa. Le politiche favorevoli ci sono state ma non siamo stati capaci di sedimentare nulla e le esperienze di eccellenza non si sono mai trasformate in buone prassi.
Ciò che penso è che manchi una mentalità imprenditoriale che sappia progettare interventi che ci ritornino valore e senso. Non si è ancora pronti a guardare alla realizzazione personale degli individui in un'ottica generale di benessere sociale e politico.

Proprio in epoca di crisi dobbiamo essere capaci di scommettere in nuovi approcci e non pensare solo più in termini di saperi da trasferire; è necessario trasmettere alle nuove generazioni la capacità di adattamento a diversi contesti culturali e lavorativi per formarmarli alla flessibilità, necessaria per rispondere ai cambiamenti repentini che contraddistingue la nostra epoca. Per questa ragione chi ha la responsabilità della formazione delle nuove generazioni, deve introdurre un nuovo concetto di competenza che non si declina più solo in una traiettoria tecnica, ma che si deve arricchire di una componente soggettiva. E' urgente occuparsene! Perché, come ha ribadito Tommaso De Luca, Preside del Pininfarina, l'Orientamento ha dimensione individuale, ma anche collettiva di sviluppo economico.

Purtroppo la leggerezza con cui si affrontano questi temi è data dal fatto che non esiste una qualificazione degli operatori di orientamento, troppo spesso ci si trova davanti stagisti che avrebbero bisogno essi stessi di un percorso di orientamento. L'Orientamento è uno strumento dal potenziale altissimo, uno strumento per la riuscita nel lavoro, per questa ragione dovrebbe essere una modalità educativa permanente. Diamole importanza e dignità con progetti di più ampio respiro e con prospettive di vita anche nel futuro.

Interessante la sessione del pomeriggio che ospitava le testimonianze sulle buone prassi per l'Orientamento di Genere coordinata dalla bravissima Paola Merlino.

Solo una piccola perplessità [o forse provocazione]: come possiamo continuare a parlare di cultura di genere e pari opportunità se a parlarne sono comunque sempre e solo donne?

giovedì 20 maggio 2010

I respinti di strada

Piacevole incontro quello con il libro "I respinti sulla strada" e Sensibili alle foglie allo Stranamore di Pinerolo mercoledì 19 maggio.

Chi sono i respinti sulla strada?
Sono degli Invisibili...

Renato Curcio con semplicità, rispetto e discrezione ha raccontato i risultati di una ricerca sociale su Qualcuno di cui si parla poco, di cui non si può parlare, perchè parlarne significa dover ammettere delle lacune istituzionali.

Si tratta di minori, migranti senza alcun rapporto con gli adulti e le istituzioni, il cui contesto di riferimento è quello delle grandi città.

La ricerca sociale che ha portato alle stampe il libro ha visto come protagonisti 40 ragazzi migranti minori e la sollecitazione degli operatori di Belleville, centro diurno della periferia milanese. Il metodo è stato quello che caratterizza Sensibili alle foglie, senza gli strumenti tipici della ricerca sociale istituzionale, ma il racconto di storie.

Raccontare e studiare di questi ragazzi invisibili ha puntato i riflettori su un vuoto istituzionale che non prevede le strutture di accoglimento previste dagli accordi internazionali. Unica alternativa per questi ragazzi: la strada.

Ma chi sono? Curcio ci parla di quattro tipologie di minori migranti dando loro un volto:
  • volto triste: chi scappa dal proprio paese a causa della guerra. Non è l'Italia a interessare, ma la sua posizione strategica dal punto di vista geografico, sulla rotta Ancona/Patrasso
  • volto denutrito: chi lascia paesi dove le economie della sopravvivenza sono state devastate [come la Nigeria ad esempio dove l'Agip ha privato dei pesci un popolo che si sosteneva di pesca]
  • volto sorpreso: chi è mosso dalla speranza di trovare qualcosa che non trova nel proprio paese, che per sentito dire potrebbe rappresentare il benessere, ma che spesso si trasforma in una illusione migratoria.
  • volto determinato: chi vuole riposizionarsi nel mondo. Si tratta di giovani talenti, agguerriti, avanzati consapevoli di cosa stanno cercando e di cosa troveranno. Conosco molto bene il mondo in cui si sposteranno perchè l'hanno studiato nei minimi particolari anche sul web.
I ragazzi respinti sono consapevoli dei propri diritti, molto preparati e spesso con una cultura avanzata rispetto ai coetanei; sono pienamente coscienti che le istituzioni sono manchevoli nei loro confronti e per questo non possono prendere l'adulto come figura di riferimento. E' infatti l'adulto a sfruttarli in un sistema economico perverso e complesso.

Questi ragazzi sono invisibili perchè si mimetizzano, omologandosi ai coetanei della città. Il processo di scomparsa è voluto e organizzato, non si fa gruppo, ma si fa rete.

Restare in rete per i minori respinti significa essere fortemente uniti in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, perchè si sentono cittadini del mondo. Il contesto di riferimento non è quello di un territorio locale, ma una dimensione ampia direttamente collegata alle possibilità di lavoro.

Si tratta di ragazzi con competenze elevate a partire dalla propria esperienza [forte scolarizzazione informale].

La fluttuazione irregolare ha determinato per esempio una profonda conoscenza delle regole e delle leggi di ogni paese.
La necessità di fare rete li ha resi decisamente competenti nell'uso delle teconologie [Curcio raccontava che alcuni dei ragazzi intervistati piuttosto hanno rinunciato a mangiare, ma non al telefonino o alla possibilità di una connessione internet].

Si tratta di ragazzi che vivono un presente ultrarapido, coscienti di transitare in un mondo che cambia, che si fa fluido in cui pretendono di collocare la propria posizione.

Il tema del viaggio diventa, grazie a questi Invisibili, quasi qualcosa di sovversivo. Ci viene il dubbio che questi ragazzi vogliano proporre una mondializzazione non selvaggia, ma di incontro.

Incontro non è integrazione. E' molto di più. E' andare oltre al produrre, ma contribuire a costruire una società [anche economica, manon solo]

Ripensare la questione nei termini dell'Incontro è chiarire che il problema riguarda noi e non loro!

[vi consoglio la lettura del libro per entrare nel vivo delle storie]

martedì 11 maggio 2010

Dalle passioni tristi ...alle passioni gioiose, per una Nuova Società

Condivido alcune riflessioni e sollecitazioni [i miei appunti] che sabato 8 maggio a Pinerolo, Benasayag ospite di Pensieri in piazza ha regalato alla platea.

Il tema affrontato, in linea con la manifestazione di quest'anno, era Paura e Libertà.

  • La libertà è stata identificata con l'idea del mondo possibile: una promessa! L'Uomo si è pensato nel corso dei secoli come una marionetta a cui venivano mossi i fili, che nel tempo ha pensato di affrancarsi imparando a muoverli [quei fili] ma al posto di trovare la promessa, si è trovato una dipendenza totale.

  • La nostra società ha concepito il concetto di futuro, topologizzando il tempo...considerandolo come un linea retta e senza curve: il futuro come un'autostrada. Il futuro della società moderna è considerato in maniera totalmente negativa, una minaccia.

  • Un tempo la Libertà era associata al Dominio e al Potere sulla Natura: l'Uomo si sentiva libero di usare e modificare la natura a proprio uso e consumo.

  • Accettare che il futuro non deve essere scoperto, nella consapevolezza che esiste una combinazione di potenzialità e che nulla può essere preordinato e programmabile, è molto duro per un uomo del Presente.

  • L'Uomo del Presente non è più in grado di gestire il negativo [di accezione hegeliana], ne ha perso il valore positivo, che ne faceva un elemento che che poteva mostrare la strada.

  • Bisogna riconquistare e riappropriarsi della promessa anche se questo vuol dire gettare le persone nell'impotenza e nel pericolo.

  • L'Uomo si crede libero perchè ignora le sue catene, non ne conosce le origini e la sostanza. Acquisire consapevolezza delle proprie catene è un passo fondamentale per inizare il cammino verso la Libertà. Riappropriarsi della Speranza è un ulteriore passo in avanti, poichè l'Uomo del presente vive la Speranza come una passione triste [Spinoza] che gli impedisce di vivere con leggerezza l'attesa dell'avvenire, gettandolo [appunto] in un cinismo senza speranza!

  • La società ha bisogno di passare dalle passioni tristi a quelle gioiose, perchè la democrazia non è sufficiente da sola per risolverne i problemi.

  • Non sono i tecnici come intendeva Platone [La Repubbica] a potersi occuppare della società, perchè la tecnologia modella il nostro mondo e la sola struttura democratica non è sufficiente per affrontare certe questioni.

  • Così come un approccio sofista [e qui l'occhiolino di Benasayag con ammiccamenti alla vita politica italiana ha destato l'ironia del pubblico] che convince le folle non può portare a nulla di buono per il bene ultimo della collettività.

  • Bisognerebbe creare una società che si fondi sulla saggezza popolare: una delle grandi sfide è quella di riappropriarsi delle conoscenze [e conoscere le nostre catene]. Solo riappropriandoci della paura della libertà possiamo anche riappropriarci dei saperi necessari per agire.

Come non pensare a questo proposito alla grande importanza che ha l'insegnamento delle cosiddette competenze trasversali per i nostri ragazzi, quelle che li aiutano a diventare cittadini, che li portano alla consapevolezza di un saper essere, senza il quale non ci può essere un saper fare spendibile in toto.

Dovremmo imparare a pensare l'Uomo nella sua complessità.

Per usare una metafora mi viene da dire che forse i nostri ragazzi non hanno bisogno di tecnici, ma di qualcuno che sappia farsi mediatore delle passioni gioiose. Accanto alla letteratura, alle scienze devono poter affrontare il saper vivere che si esprime in quella conoscenza delle catene di cui parla Benasayag. Dobbiamo imparare a mettere in pericolo in nostri ragazzi, le nuove generazioni, se vogliamo costruire una società forte e consapevole che non cada nel senso di onnipotenza che rende ..tristi.

Solo guardando le nuove generazioni in tutti gli aspetti, in tutte le caratteristiche senza pregiudizi si potrà cogliere l'origine del cammino verso la promessa.
E' necessario rischiare. Il rischio è aiutarli ad essere liberi.

giovedì 6 maggio 2010

Tra competenze e prestazioni...



ritornando alle competenze...
La scuola italiana si sta riformando a piccoli passi, a singhiozzo e tra le contraddizioni. Nel 2007 Fioroni con il famoso decreto di fine agosto ci aveva propinato gli assi culturali, mettendo l'accento su una modalità fondata non più sui saperi, sulle nozioni di una scuola vecchia e monotona, ma piuttosto sul saper fare, sul contestualizzare, codificare, digerire le conoscenze affinchè possano diventare competenze.
Grazie agli assi culturali si sono declinati quelli che dovrebbero essere gli standard di appredimento attraverso conoscenze, competenze e abilità.

Sicuramente questo sistema obbligherebbe a sganciarsi dai vecchi programmi la cui scarsa validità didattica è garantita. La Formazione Professionale per assicurarsi la presenza nel Sistema, nella progettazione dei propri percorsi formativi ha dovuto tenere conto degli assi culturali, anche a costo di perdere alcune sue caratterizzazioni.

Valutare per competenza significa guardare gli studenti a tutto tondo, in una visione olistica.
Come ci insegnano Lyle e Signe Spencer una competenza è complessa e si compone di cinque elementi:
  1. la spinta motivazionale
  2. le caratteristiche caratteriali
  3. l'immagine di sè
  4. le conoscenze
  5. le abilità a svolgere un dato compito

Per questa ragione non ci si può fermare ad una didattica fatta di informazioni e sganciata dal contesto di riferimento. La didattica per competenze impone che si progetti e si personalizzi, per rispondere alle necessità di ognuno relativamente alle attitudini che gli sono proprie. Chi ha la responsabilità educativa e formativa non può dimenticare che ogni apprendimento deriva dall'esperienza, e come dice Michele Pellerey ogni esperienza si accompagna ad una sfida.

Come alcuni ricercatori americani dell'Università di Rochester hanno teorizzato, le persone hanno l'esigenza di sviluppare e coltivare competenze per trovare motivazioni. Se ci si sente competenti facilmente ci si impegna maggiormente e di conseguenza il livello della prestazione sale.
Ma attenzione a non confondere la prestazione con la competenza!

Come Bruno Bara nel suo libro Pragmatica cognitiva chiarisce:

competenza è l'insieme delle capacità astratte possedute, prestazione è l'insiema delle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in azione, desumibili direttamente dal suo comportamento in una specifica situazione.


Essere competenti significa saper attingere alle proprie risorse interiori, a partire dall'esperienza per far tesoro del proprio fare, che si traduce in quella Virtù che Aristotele aveva posto come condizione per la razionalità pratica nell'Etica a Nicomaco.

In sintesi il mio saper fare deriva e dipende dal mio saper essere.
I ragazzi hanno bisogno del nostro aiuto per coltivare le proprie Virtù.
Ma le Virtù non sono misurabili in decimi come il nostro Ministero ci chiede.

Quindi come la mettiamo?

martedì 4 maggio 2010

Dal Ministero: il modello per la certificazione delle competenze



E così arrivò il Decreto...attraverso la circolare regionale n.141

Si tratta dell'indicazione, da parte di Mariastella Gelmini, dell'adozione del modello di certificazione dei saperi e delle competenze relative all'assolvimento dell'obbligo di istruzione nella scuola secondaria superiore.

La novità è che finalmente Istruzione e Formazione Professionale dovrebbero parlare una lingua comune, perchè il modello è lo stesso
allo scopo di garantirne la confrontabilità
[come si dice nelle indicazioni allegate la circolare].

Pari dignità dunque [davvero?]

Sorpresa: i discenti sono per entrambi i sistemi studenti e studentesse...mentre fino a poco tempo fa per la Formazione Professionale si parlava di allievi! [segnale o distrazione?]

Qualche contraddizione: chi lo dice al Ministero che le competenze non si misurano in decimi?


venerdì 30 aprile 2010

"dalle PROPOSTE, alle AZIONI"


Le Agenzie Formative possono [e devono] essere strumento di Innovazione e Ricerca di buone prassi affinchè si possano stimolare sul territorio e nelle imprese atteggiamenti di apertura al Cambiamento.

Attraverso la Formazione si trasferiscono paradigmi comunicativi generatori di metodo.



La convinzione che la Rete e il lavoro in rete possano essere strumenti e strategie mi porta a prestare particolarmente attenzione a quanto accade in giro e a segnarlarvelo.

Il 19 maggio 2010 a Roma si condivideranno idee, progetti e pensieri...

Fisicamente non ci sarò...ma farò in modo di restare informata e condividere.

Qui il wiki

mercoledì 14 aprile 2010

Aristotele al Grande Fratello

L'epoca dell'individualismo si declina nell' incapacità a riconoscere riferimenti e risorse negli altri, pari e non.
Le abitudini, gli interessi declinano l'individualismo mostrando raramente quel lato positivo che potrebbe essere intravisto nella personalizzazione [elemento prezioso per l'apprendimento].

Si è perso il senso di Comunità, la Rete Sociale si è modificata e persino il processo catartico dell'uomo ha subito un'evoluzione.

Aristotele ci ha insegnato che l'uomo si purifica dalle passioni, le razionalizza per recuperare un certo equilibrio psichico grazie all'Arte, nella forma della Tragedia. Di fronte alla Tragedia l'uomo si interroga rispetto ai dilemmi esistenziali, specchiandosi nei protagonosti si riconosce in vizi e virtù.
La mediazione tra il pubblico e i protagonisti è rappresentata dal Coro, che è neutrale rispetto ai personaggi, non giudica. E Nietzsche aggiunge
"questo coro dà consolazione al greco profondo, sensibile alle sofferenze più sottili e pesanti, che con sguardo tagliente ha contemplato sia l'orribile processo distruttivo della cosiddetta storia universale sia la crudeltà della natura..."


Il Greco era costretto ad andare a Teatro, perchè ritenuto politicamente strategico ed educativo.
L'uomo della società globalizzata è costretto allo zapping televisivo, come abitudine e status. C'è stato un tempo in cui anche la tv si è fatta strumento educativo, ma ormai il palisensto generalista ha avuto la meglio su programmi dall'eleganza di "Non è mai troppo tardi".

Facendo della facile sociologia una società che ha disimparato a fare rete ha bisogno di declinare antichi strumenti in ciò che il post-modernismo ha confezionato.

L'eroe è il borgataro espulso da quella società individualista che non si riconosce più negli ideali di fabbrica e protesta, proprio perchè è la fabbrica ad essere in crisi ancora prima della protesta.
Il teatro è il reality show , il giusto setting per accogliere ansie di successo a partire da ciò che ogni individuo comune può offrire: se stesso, con le proprie debolezze e le proprie caratteristiche a prescindere dai talenti.
Il coro è rappresentato dagli opinionisti, che partecipano della vita dei protagonisti facendo da voce narrante e razionalizzandone le passioni e gli impulsi. [tornando a Nietzsche:" questo processo del coro tragico è il fenomeno DRAMMATICO originario: vedere se stessi trasformati e operare come se davvero si fosse migrati in un altro corpo, in un altro carattere"]

Come dice Paolo Fabbri la tv del reality show è
caratterizzata non dall'offerta di informazione e fiction ma dalla "tecnologia della relazione". Da oggetto gerarchico, passaggio di sapere e distrazione e rubinetto di immagini per spettatore passivo e cittadino immaturo, la TV è diventata un medium per handicappati relazionali molto attivi nello zapping.

Una società che si è deteritorializzata, cerca il suo territorio, la sua comunità attraverso piccoli e semplici simili da ergere a eroi, per sublimarsi nelle loro storie e nei loro successi.
La vera novità è che il pubblico è complice, il Deus ex machina dela format televisivo: per dirla come Mezza avanza una nuova categoria, quella degli Spettautori.

Ci si identifica nell'uomo qualunque che sta abbracciando la possibilità di diventare famoso..e ricco: ecco la Mimesi, perchè l'uomo fin da bambino ha necessità di imitazione. Si imita per conoscere, per apprendere e per emulare.
Una società povera di valori fa dell'emulazione il motore.

Che avessero ragione Platone prima e Rousseau poi?
Che l'Arte sia diseducativa perchè distoglie l'uomo dalla realtà, mostrandogli qualcosa che non è e che non sarà per lui?
Che sia parte di una strategia politica di chi i media li governa e ne trae profitto? [una società destrutturata non si rivolta e si fa condurre]

Ma perfortuna alla categoria di Arte non risponde solo la tv!

domenica 11 aprile 2010

siamo tutti post adolescenti


IL FUTURO COME MINACCIA


L'adolescenza è una creazione della società occidentale, che privata dei riti di passaggio, ha sentito la necessità di creare un periodo che possa identificare l'età di passaggio all'età adulta.

Ci ha insegnato Howit che

l'obiettivo di tutti i momenti di questa cerimonia è di introdurre un mutamento brusco nella vita del novizio; il passato deve essere separato da lui con un intervallo che non potrà mai più riattraversare. La parentela con la madre, nel ruolo di bambino, viene bruscamente spezzata e, a partire da questo momento, egli resta legato agli uomini. deve abbandonare tutti i giochi e gli svaghi dell'infanzia. Egli diventa così un uomo preparato, consapevole dei doveri chegli competono in qualità di membro della comunità.

Il rito di iniziazione dava un riconoscimento in quanto parte della comunità: essere adulti significava essere responsabili non solo di se stessi, ma dell'intera comunità.

La società post-moderna non si può accontentare di un rito, ma soprattutto l'adolescente perde la sua categorizzazione di bambino senza acquisire ancora quella di adulto. Questo accade perchè siamo immersi in una società che vuole essere giovane: questo confonde l'adolescente che si trova ad e desiderare le stesse cose dei propri genitori. Provocatoriamente si può dire che siamo tutti post-adolescenti [e mai saremo adulti davvero].

Ma si può essere giovani senza avere intorno dei vecchi?

Come dice Jean Guillaumin in "Essais psycanhalityques"

il giovane adulto, dopo che da adolescente è riuscito a staccarsi dagli oggetti infantili, dovrebbe riuscire a introiettare gli oggetti genitoriali divenuti "morti viventi".

Ma i nostri ragazzi si ritrovano ad avere gli stessi interessi dei genitori e ancor peggio dei nonni.

Chi dovrebbe essere adulto rappresenta in realtà la caricatura dell'adulto come eterno adolescente.

Una società che vuole essere giovane ad ogni costo è una società che non sa più mettere i confini, che non riconosce il valore dell'esperienza e soprattutto non sa dare radici.

In questo contesto viene fatta l'apologia della flessibilità, perchè nessun adulto [non esistendo più il vero adulto!]vuole occupare il posto dell'Autorità, nessuno può assumersi la responsabilità di dire non tutto è possibile!

Come dice Benasayag gli adolescenti rappresentano il feedback patogeno di adulti narcisisti che non sanno dire no.

Questa eccessiva flessibilità porta a rinnegare il valore di comunità e a un inevitabile isolamento. Lo dice il buon senso, lo dice la teoria scientifica, ma lo dicono anche i dati che lo studio HBSC [studio sui comportamenti dei giovani in ambito sanitario dei giovani in età scolare] ci presenta.
La ricerca è svolta in 41 paesi europei.

Per quanto riguarda i ragazzi italiani la vera emergenza messa in evidenza dallo studio è proprio la mancanza di rete sociale a cui l'adolescente può rivolgersi

Il senso di appartenenza è spesso virtualizzato, ma fondamentalmente i ragazzi si sentono soli non considerando risorsa i genitori, ma nemmeno la scuola e i pari.[siamo al 37° posto]

Allora bisogna ricostruirla questa comunità, come luogo di conflitto e di promozione del cambiamento, del ragionamento. Dove c'è conflitto, c'è crescita.

Dobbiamo dare ai ragazzi le competenze perchè imparino ad adattarsi ai cambiamenti e possano evolvere allo stato di adulto. L'Organizzazione Mondiale della Sanità propone da molto tempo le life skill, ma noi italiani ...forse possiamo prenderci il lusso di dire che sono più importanti le nozioni, i programmi mai rinnovati e il voto in condotta...

E' meglio non rischiare...
anche se una società che non rischia mette in pericolo la gioventù!

domenica 21 marzo 2010

Imparare a specchiarsi per accogliere


cosa sgnifica includere?

Al di là degli stereotipi e della demagogia riflettere sull'inclusione e sui risvolti in termini di civilizzazione della società non è impresa semplice.

Cosa ci fa paura dell'Altro? spesso lo chiamiamo diverso, ma a ben guardarlo tale non è: ha la nostra stessa voglia di divertirsi, di imparare, di dignità. Eppure dobbiamo sforzarci per accoglierlo.

Come spesso ho ricordato qui l'Unione Europea non perde occasione per sottolineare l'importanza e la spinta che l'intercultura può rappresentare per una società, chiedendo agli Stati membri attenzione alla questione.

Accade invece che gli Stati, in particolare l'Italia, si esprimano nella propria schizofrenia sostenendo localmente progetti di inclusione decisamente interessanti come la Biblioteca interculturale di Pinerolo, ma allo stesso tempo il Sistema legislativo reagisce con risposte di "accoglienza" decisamente disintegranti tanto da contraddire il diritto alla studio. Abbiamo assistito alla sentenza della Cassazione che non considera la garanzia dell'apprendimento di bambini e adolescenti come prioritaria. Il diritto di un normale processo formativo di un ragazzo viene meno di fronte la salvaguardia della propria torre.

Come possiamo farci promotori di un'educazione alla Responsabilità [chiesta a gran voce da don Ciotti] in un contesto dove sembrano essersi ribaltate le priorità?

Mi vengono in mente le parole di Benasayag:
"L'educazione dei nostri figli non è più un invito a desiderare il mondo: si educa in funzione di una minaccia, si insegna a temere il mondo, a uscire indenni dai pericoli incombenti"


Lo sguardo sull'altro non è inteso come occasione di crescita e arricchimento, ma spesso come occasione per etichettare e declinare dei modelli da escludere o includere a seconda delle situazioni e dei tornaconti. Dietro le etichette si nascondono le insicurezze di una società e di una generazione che vive di stereotipi e di limiti. Perchè non riuscire a guardare oltre ciò che solo apparentemente vediamo ci pone dei limiti, ci fa adottare lo sguardo normalizzante.


Come ci ha insegnato Tiziano Terzani, ogni espressione di ogni civiltà ha il suo perchè e per quanto ci possa sembrare strano chi non si ribella è perchè intimamente non ne trova le ragioni. Ma è difficile per noi occidentali accettarlo, perchè il modello è solo ed unicamente il nostro.

[La libertà ognuno se la deve conquistare per conto suo. Si può aiutare, dare una mano, ma la libertà bisogna conquistarsela da soli. È come scalare le montagne: se si vuol godere di arrivare in cima alla montagna, non è che ci si può mandare un altro, non è che qualcuno ci può portare in cima con un elicottero… Quella montagna bisogna conquistarsela da soli.

Se le donne afghane trovano che il burqa sia qualcosa che offende la loro dignità, scaleranno quella montagna, arriveranno in cima e butteranno via il burqa. Non ci devono essere i paracadutisti americani che glielo vanno a togliere. -da un'intervista a Tiziano Terzani del 2002]



Troppo spesso ci arroghiamo il diritto di guardare l'altro per poter esprimere un potere, poterlo giudicare, analizzare, senza volerne condividere saperi e storie.

Integrare non significa sopportare per acquisire competenze e professionalità inesistenti o scomparse nella nostra società. Mi piace piuttosto la visione di Savater:
"L'emigrazione ci ha resi umani: questo processo di adattamento all'ignoto ha fatto dell'uomo quel che è oggi. E in questo mondo in cui è molto più facile sapere quello che accade altrove è inevitabile avere un alto livello di emigrazione per necessità, per motivi politici, per desiderio di miglioramento. Dobbiamo capire come adattare istituzioni che sono troppo chiuse a una situazione che comporta l'ospitalità. L'ospitalità è una delle grandi necessità della nostra epoca."


Ed è così che chi educa deve aiutare le persone a costruire la propria identità, considerando la conoscenza tacita delle persone* perchè si possa predisporre una società come Talcot Parson la pensava: mediazione tra le condizioni ambientali e il ruolo del soggetto che tra esse si muove, ma a partire dal voler sentire l'altro.

Chi educa deve inisidiare quel desiderio di migliormaneto citato da Savater.

Chi educa deve insegnare che l'altro non si guarda, ma che con l'altro ci si scambia lo sguardo.

Includere significa guardare l'altro per vedere noi stessi.

Gli altri sono il nostro specchio!


*Per conoscenza tacita si intende, in generale, ciò che si conosce, ma non si esprime perché non si può o sarebbe inutile farlo: "possiamo conoscere più di quanto possiamo esprimere" [Polanyi, 1966 ma anche 1958, 1969].

domenica 7 marzo 2010

Educare: la vera battaglia


Educare da educere, tirare fuori.

Un educatore deve tendere all'individuazione delle migliori caratteristiche da tirare fuori, da mettere in evidenza. Questo vuol dire che l'educatore tende a promuovere un cambiamento, attraverso il gap di conoscenze esistente tra lui e l'educando.

Il cambiamento avviene grazie all'azione combinata tra quello che è il potere riconosciuto dell'educatore e la sua capacità di entrare empaticamente nel mondo di chi ha di fronte. Per questo come già ho detto qui ascoltare è strategico e forse rivoluzionario.

Il cambiamento e la crescita individuale moltiplica le possibilità di cambiamento sociale.

In un tempo di modelli educativi [tradizionali] in crisi la responsabilità di chi si vede riconosciuto il ruolo sociale cresce e si arrichisce di significato, nonostante spesso venga messo in discussione anche da altri contesti che dovrebbero essere ugualmente educativi, come la famiglia.

Ma educare significa portare il singolo a socializzare e quindi ad emanciparsi, affinchè possa essere pronto per svolgere i diversi ruoli che la società gli richiede e diventare così Persona.

Frutto dell'educazione dovrebbe quindi essere la trasmissione di valori, ma senza correre il rischio che si sconfini nell'indottrinamento; la difficoltà sta nell'individuare il giusto equilibrio tra i diversi modelli educativi, affinchè si possa offrire un paradigma efficace dei diversi ambiti in cui l'individuo è costretto a muoversi nell'arco della vita, senza dimenticare che le strutture conoscitive, la personalità e le condizioni di vita sono variabili importanti del contesto in cui ha luogo l'apprendimento.

Un approccio maieutico vorrebbe che l'educatore sia portatore di un modello, diventando quindi un facilitatore attraverso il suo carisma. Educare significa quindi essere disposti a mettersi in gioco, a mettere in discussione i propri valori per poterli evolvere e in un approccio di ricerca e partecipazione, anche in una dimensione di apertura interculturale.

Educare è esporsi al rischio anche di un proprio cambiamento.

Se ascoltare può essere rivoluzionario, educare è combattere.

domenica 28 febbraio 2010

Formazione Professionale: il modello piemontese [le strategie politiche e sociali]

La Regione Piemonte si è data come obiettivo quello di costruire razionalmente una memoria del proprio patrimonio storico nel campo della Formazione Professionale. Ne ha dato rilevanza al seminario " Storia e aspetti socio-pedagogici della Formazione Professionale in Piemonte", contenitore dove sono stati presentati alcuni studi in carico all'Università degli Studi di Torino.

Interessanti gli spunti che hanno reso obbligatoria la riflessione che la tradizione che i santi sociali piemontesi ci hanno lasciato, non può essere dispersa e dimenticata a causa di qualche legislatore distratto o per una politica economica che mira verso altri obiettivi, diversi da quelli relativi al capitale umano.

La formazione professionale piemontese si è sicuramente fondata, almeno alle origini, sul lavoro, l'interpretazione e la vocazione di alcuni santi sociali, quali don Bosco o don Murialdo [solo per citare i più conosciuti], che hanno declinato l'addestramento come tutela dei ragazzi rispetto al penoso mondo di fabbrica cittadino e per poterli inserire nel panorama lavorativo.
Il contesto si può sintetizzare come laboratorio garanzia dell'incolumità spirituale.

A mio parere è molto utile la ricerca intrapresa dal Prof. Grimaldi volta a disegnare un profilo sociologico degli allievi della formazione iniziale piemontese negli ultimi cinque anni.

Esistono alcune realtà, istituti un tempo, agenzie formative ora, che vantano la formazione di maestranze e professionalità di generazioni distanti un secolo e più l'una dall'altra.

Sarà interessante vedere quali altri tasselli si aggiungeranno al puzzle che si sta profilando per dare un volto ad una realtà abbastanza caratterizzante la nostra regione.

L'impegno che mi prendo è quello di dedicare uno spazio costante all'aggiornamento del profilo che si costruirà grazie a questi approfondimenti.

E chissà che gli approfondimenti non aiutino scelte più responsabili e consapevoli da parte di Chi sceglie per tutti.

domenica 21 febbraio 2010

La rivoluzione dell'ascolto


Benasayag dice:
"L'ascolto è la parola magica"

L'attenzione è spesso posta sulla questione delle difficoltà comunicative tra generazioni, in particolar modo con i giovani del nostro tempo.

Alla scuola, agli educatori si chiede forse troppo implicitamente di riempire il vuoto lasciato dalla società e spesso dai contesti famigliari.
Per rispondere ai nuovi bisogni nozioni e saperi non sono più sufficienti, per questo la scuola deve guardare a nuovi contenuti e a nuovi strumenti. Forse basterebbe concentrarsi sulle modalità.

Nelle modalità ci sta anche solo il puro ascolto, il porsi in posizione di apertura nei confronti dei ragazzi, dell'altro.
E' l'ascolto dell'altro che permette di coglierne le sfumature e i punti di forza. Senza scendere in un'analisi psicologica di chi si ha di fronte, dargli spazio permette di conoscerne gli schemi d'azione, le dinamiche comportamentali, affinchè si possano strategicamente utilizzare a vantaggio del discente.

Conoscere gli schemi d'azione permette di personalizzare gli interventi educativi.

Personalizzare significa cura educativa.
Personalizzare significa trovare insieme all'altro le parole per dire il proprio disagio, la propria difficoltà che sia di apprendimento, che sia esistenziale.

I nostri ragazzi crescono in una società dalle finte trasparenze, dove facilmente si mettono in primo piano le proprie storie e le proprie intimità, ma sempre più con difficoltà si analizzano le proprie fragilità. Non gli si sa dare un nome e per questo non le si può conoscere.

Si è parlato a questo proposito della generazione 20 parole. E' difficile capirsi se non si condividono i codici. Acquisire la consapevolezza che l'evoluzione delle generazioni porta inevitabilmente ad adeguarsi a tempi, spazi ma soprattutto a modalità può essere davvero il segreto per mediare piccoli successi quotidiani.
L'ascolto è il primo passo per la costruzione di un rapporto di fiducia. La fiducia è un processo che passa attraverso l'accoglienza del punto di vista dell'altro, la valorizzazione dei punti di forza, la facilitazione dell'espressione delle difficoltà e delle esigenze specifiche.

A questo punto mi sorge un dubbio: ascoltare può essere rivoluzionario?

domenica 24 gennaio 2010

Gli spettatori televisivi senza TV


L'adolescente è per definizione un mutante. Per questa ragione cerca stimoli che lo accompagnino alla mutabilità come se si potesse definire in un tempo di eroi in costruzione di identità. Come si è detto anche in questo spazio, si prediligono modalità attive di fruizione dove si possa mettere in atto uno scambio di informazioni. Perchè l'adolescente vive i media come meraviglia, come opportunità e forse anche come difesa.

Tuttavia la TV è ancora importante: in Italia dal 2008 l'ascolto medio della tv è aumentato del 2% e il numero di minuti dedicati alla Tv del 3, 1%.

I ragazzi prediligono le piattaforme satellitari e digitali, tanto da aver diretto le politiche aziendali ad un'esplosione di programmi dedicati ai teens [se pure gli interessi degli adolescenti spesso coincidano anche con quelli di altri target].

Si può parlare di una tv che va oltre la televisione convergendo al pc. I ragazzi cercano i loro programmi sul web per poterne rivedere parti interessanti e poterne condividere con gli amici. Ma ciò che è davvero la novità è la crossmedialità, la divergenza quindi dei mezzi, degli strumenti che allo stesso tempo possono essere complementari. Infatti se si osserva la fruizione di YuoTube si nota come gli utenti cerchino materiale televisivo. Così i contenuti televisivi trovano nuove opportunità di utilizzo mediatico adeguandosi a obiettivi e contesti.
Sui siti di video sharing i contenuti televisivi raccolgono maggior audience di quelli user generated: un esempio per tutti è il video di Susan Boyle che su YuoTube ha contato più di 30,000,000 di visualizzazioni.

Per i nostri ragazzi è quasi scontato che contenuto e mezzo, luogo e momento si fondano, come ci dimostra Henry Jenkins che dice:
"alcuni dei franchise di maggiore successo degli ultimi anni sono nati in tv, o al cinema o come libri o come giochi, ma ciascuno di essi straripa dal suo medium originale per invadere molti altri spazi della produzione culturale"

Dalla Tv nascono giochi per consolle ad esempio, grande richiesta del target adolescenziale.

Ma succede anche che dal web partano contenuti televisivi prima ancora della messa in onda, come per il canale CW che ha trasmesso 4 webisode che accompagnavano il debutto di "The Vampire diares"; oppure che nel web si introducano nuovi spazi di sperimentazione e scouting di nuovi talenti, come per come "Dr. Horrible", prima serie televisiva a vincere un Emmy senza mai essere stata trasmessa in Tv.


Ma grande novità è che dallo schermo del web si arrivi allo schermo della tv come per "The Blah Girls" webserie di facebook che sarà trasmessa su CBS.

Forse le nuove generazioni non hanno più bisogno della televisione per vedere la televisione! ecco la mutabilità...