martedì 5 ottobre 2021

NON PUO' ACCADERE

Una donna, è stata uccisa una donna. 

Ancora. 

L'anno solare non è concluso e in Italia abbiamo superato gli 80 casi. Oltre 80 donne che non ci sono più. 

Una donna, casi; sostantivi che non danno volti, non hanno identità, vanno oltre le storie. Oltre l'umanità.

Parole che portano i drammi lontani da noi, li spersonalizzano ponendo distanze. Come se la distanza rendesse un dolore più lieve, una perdita meno mancanza; la Storia di Quella Donna semplicemente una storia qualsiasi. Un omicidio, la reazione a uno sfinimento, la risposta a un comportamento esasperante. Come se si potesse paragonare un omicidio alla reazione di una mamma che sbotta stufa al millesimo capriccio del figlio. 


Una mattina ti svegli con l'ennesima notizia, a cui ormai hai abituato l'orecchio, ma a richiamare l'attenzione non è tanto il fatto in sé, ma il dove. Vicino a casa. Il paese, la via, e persino il cognome ti risuonano familiari. Ecco che quella distanza si assottiglia e improvvisamente si percepisce il ritorno di quella Umanità abdicata. 


Mia nonna diceva che al brutto ci si abitua ed è a capire la bellezza che bisogna allenarsi, e quindi mi dico che alla parola femminicidio ci si è abituati. Più di 80 volte da Capodanno ne abbiamo sentito parlare in tv, ne abbiamo letto sui giornali. 


Non mi basta più che i media ne parlino. Come la racconto ai miei figli questa storia? Come si passa dalla notizia alla Storia, con tutto il rispetto e il peso che Quelle Donne meritano? 

Vorrei che ci fosse un passo in più alla semplice cronaca; non mi interessano leggi che puniscano gli assassini, perché



una Società giusta, consapevole e matura non arriva a quel punto. E' necessaria una politica di sostegno, un'Istruzione che si occupi anche dell'affettività e del rispetto reciproco, un'educazione che sappia riconoscere che il patriarcato non è la via. C'è bisogno di politiche che rendano scontati i comportamenti che ora affidiamo al buon senso e alla buona educazione famigliare. 


Vorrei che il dolore e lo scandalizzarsi collettivo tornassero ad essere lancinanti e non nascosti nell'indifferenza di uno sconsolato "può accadere". 


Donna senza volto Matisse


sabato 6 marzo 2021

Il cortile

Mi considero fortunata perché ho sempre potuto conservare il mio attaccamento al sole grazie a un pezzetto di orto urbano durante l'anno e alla sterminata campagna guardiese quando ero bambina; e dal 2001 il giardino di casa, anche quando la casa l'ho cambiata. Poi si è aggiunto un cortile, che ha dilatato spazio, rapporti, autonomia e libertà anche nei miei figli. 
Le loro amicizie si sono fatte fratellanza e a me è sembrato di rimpicciolire la città in paese. La libertà di lasciare i figli incustoditi perché la vigilanza era tra pari, perché i rapporti si equilibravano in una forma di mutualismo spontaneo. 
Il cortile che rendeva tutti uguali, anche quelli dell'ultimo piano,  senza giardino, perché nella sicurezza di un recinto potevano esprimere la propria voglia di aria; il cortile democratico perché di tutti e inclusivo, perché aperto a chi del condominio non è. 

Il cortile fino a marzo 2020. Un marzo che mai come allora mi era sembrato primavera. 

Poi il cortile è diventato inconsapevole spettatore della vita dei balconi, dei giardini. Balconi e giardini coralità di una speranza che allungava le braccia all'estate.  

L'estate ha illuso il cortile con qualche timido pallone che ha ripreso a far arrabbiare la signora delle fragole, per le incursioni nel suo giardino. Perchè quando si è grandi non si contempla l'idea che il pallone va dove lo porta l'aria, anche se i piedi lo vorrebbero mandare in tutte le porte del mondo.  

E poi l'autunno e improvvisamente il ricordo di una primavera che  la mia testa assimila a un inverno. Chiusi. 

Oggi siamo quasi a primavera, me lo dicono le violette che spuntano timide in giardino. 

Un anno fa avevo la certezza che sarebbe stato tutto diverso, dopo tutto questo tempo. Ero certa che quel tempo non fosse arrivato inutilmente, ma che avremmo imparato. 
Imparato a essere solidali, a essere pazienti, tolleranti; che avremmo imparato ritmi nuovi, più naturali, più a tempo con il cuore. 

Ero certa. 

Oggi è quasi primavera, me lo dicono i bulbi che affacciano le loro foglie tra l'erba, ma fa freddo. E non è solo la pioggia a scuotere l'aria, ma l'idea che tutto sta ricominciando a fermarsi. Ancora. 
I ragazzi chiusi in casa, i rapporti congelati, i genitori imbarazzati tra scegliere il lavoro ed essere madre e padre, come dovrebbe essere. 
La certezza che non abbiamo imparato niente, la certezza di essermi illusa mi fa male come quando non ci si riprende da una delusione d'amore. Perché è stato bello credere in un mondo nuovo, in un paradigma che avrebbe potuto essere rivoluzione. 

La fame d'aria è la metafora di questo tempo. Tutto quello che sento di volere è aria e sole.


E oggi rientrando a casa il cortile mi è sembrato piccolo, più piccolo di come lo custodivano i miei ricordi. 









mercoledì 24 febbraio 2021

La lontananza. Ciao nonno.

Oggi è uno di quei giorni la cui ombra mi ha rincorso per anni, forse sin da bambina, quando le chiamate al telefono erano via cavo e rare. Quando ne arrivava una fuori dalle ordinarie del fine settimana coincideva con il batticuore e la fretta di preparare una valigia, che potesse contenere vestiti e un piccolo ristoro al senso di colpa che crea la lontananza.
La Lontananza è il titolo della canzone che ha accompagnato la storia d'amore dei miei genitori. 
La lontananza è diventata il leitmotiv della mia vita, inconsapevolmente. 
La lontananza è stata il motore della mia famiglia.

All'origine di tutto c'è stato un uomo, piccolo e grande allo stesso tempo, che ha avuto l'incosciente intuizione che il dolore della lontananza sarebbe stato meno forte di quello della povertà. 
Se non fosse per quella scelta, forte, che oggi appare anacronistica per il nostro paese, io non sarei qui, non sarei tanto di quello che sono. 

Un uomo, dicevamo, che ha coltivato il sacrificio, come senso profondo della vita; che quando era in pensione zappava la terra come se quella terra potesse essere ultima salvezza. Quella stessa terra che ha saputo farci amare di un legame profondo, atavico, quasi soffocante. 

Oggi quel senso di lontananza soffocante è tornato pesante a farsi sentire. Quella valigia era pronta da qualche giorno, pronta per sedare l'ansia pressante che può avere l'attesa per un figlio che sa che sta arrivando il momento dei saluti. Ma si è lontani e forse non si arriverà in tempo. 

Eravamo abituati ai suoi scherzi. Ce ne ha fatti tanti, a volte anche sadici e anche questa volta pensavamo sarebbe andata così: un highlander si risolleva sempre. Avevamo smesso di contare le tante vite che aveva consumato. 

Invece il 24 febbraio.

Mio nonno era un uomo con tante sfaccettature, da cui ho imparato il peso dell'errore e la leggerezza della rinascita. 

Mio nonno era stato un disertore e questo lo rendeva simpatico a prescindere, ma nel raccontarsi non dimenticava mai di dire che l'eroe era il fratello, quello che alla guerra non si era sottratto, l'eroe di famiglia. 

Mio nonno amava gli animali più che gli uomini, da lui ho imparato ad allattare gli agnelli e a parlare con i conigli. 

Mio nonno amava il rispetto in un'accezione fuori moda, di cui forse ci sarebbe bisogno. 

Mio nonno amava la gente, ma odiava i soprusi, disposto a pagare per contarstarli. 

Mio nonno faceva giocare i bambini con filastrocche e giochi antichi. 

Mio nonno negli ultimi anni cantava, rideva e amava. 

Questo è il nonno che porterò nel cuore. 
E l'ombra diventerà presenza.