mercoledì 11 marzo 2020

Ragazzi cari


Ragazzi cari,
sono ore convulse. Ore in cui si rincorrono notizie e emozioni. Ore in cui noi formatori stiamo lavorando forsennatamente per capire lo strumento giusto, la parola più azzeccata per comunicare con voi.

Non è semplice da un giorno all'altro cambiare approccio, lasciare che siano solo le parole scritte a parlarvi; proprio a voi che le parole piacciono così poco e che scegliete sempre e comunque i fatti. Le opere, come dicevano gli antichi, sono la vostra cifra.

Avete scelto una scuola professionale apposta, mica per stare sui libri. E invece in questi giorni vi chiediamo di stare fermi, chiusi in casa, senza la possibilità di un bella raga e di arrivare in ufficio da me in puntuale ritardo con una serie di scuse a cui nemmeno voi credete intimamente.
Improvvisamente le alzate di voce, i toni scomposti, i compiti non fatti, lo stress di una campanella che suona sempre nel momento sbagliato ci mancano, e forse mancano anche a voi.

Avrei voluto ogni giorno guardarvi negli occhi e ripetervi fino alla nausea tutte quelle raccomandazioni, che in questo momento non basta siano i vostri genitori a farvi. Tutti avremmo voluto farvi imparare a memoria che in questi giorni non possiamo stare stretti tra noi, che non è sano passare un giorno al centro commerciale [già lo sapete che per me non è sano mai!], che andare a bere il chupito in queste sere è più idiota di tutte le altre volte.

Avrei voluto toccarvi una spalla, un braccio, una mano, la guancia per dirvi in un buffetto tutte le parole che il dizionario contiene al significato di tranquillità. Purtroppo per il momento non è possibile e allora raccolgo le energie per starvi vicino in un modo nuovo.

Persino i più tecnolesi di noi si stanno attrezzando per riuscire a comunicare con voi, per darvi materiale e strumenti che vi stuzzichino e che possano raggiungervi ovunque.

Da questa storia usciremo tutti diversi e migliori, ne sono sicura.
Stiamo imparando, forse un po' meno sui libri, ma stiamo imparando di empatia e resilienza. Sapete cosa vuol dire? Che stiamo imparando ad adattarci, a cambiare idea con umiltà; stiamo imparando che questa volta tocca a noi e così forse quando incontreremo qualcuno con fortune e sfortune diverse dalle nostre, sapremo essere accoglienti e tolleranti, in nome di una malasorte ( sfiga come dite voi), che se anche in misura e forma  diversa, abbiamo già vissuto. 
È difficile dirvelo, pensando agli occhi girati in sù  e ai sospiri di fastidio, che normalmente si produce in aula, ma abbiate cura di voi. Abbiate cura della vostra anima, non lasciatela in balia del brutto e dell'arroganza.

Seguiteci, anche se da lontano.

Provate e fidarvi di noi. Noi ci fidiamo di voi. Sappiamo che non uscirete per preservare anche la salute di noi più grandi e per preservare un sistema sanitario di cui avremo bisogno tutti, voi come noi. 
Cercheremo di fare il nostro lavoro anche da qui, sebbene il qui sia imprecisato e non troppo fisico, sebbene ci mancheranno reciprocamente sguardi e intonazioni. (Che poi dai su, quelli vi sono rimasti impressi no?!)

Diamoci la mano ragazzi. Anche se solo virtualmente teniamoci stretti e al ritorno saremo tutti più preziosi. 

Vi abbraccio forte, voi e le vostre famiglie!
La Bianco


domenica 8 marzo 2020

Recuperiamoci

Abbiamo evitato ai nostri figli le guerre guardando a quelle degli altri con la distanza del mero scambio politico. 
Abbiamo risparmiato alle ultime generazioni la fame, pensandola come colpevole dimostrazione di un'inettitudine sociale e non come l'esito di un sistema economico in cui qualcosa non funziona. 
Abbiamo gridato odio a chi ci mostrava la propria disperazione, facendo a gara a trovare disgrazie più grandi in nome di una civiltà, forse persa per sempre. 
Abbiamo puntato i piedi per comunicare l'incapacità a ricoprire ruoli di potere, pensando di dimostrare il contrario. Abbiamo dato alla prepotenza il compito di nascondere inadeguatezza. 
Abbiamo compensato la nostra assenza con strumenti e beni con chi amiamo o chi dovremmo amare. 
Abbiamo rinunciato alle cose semplici, alla ricchezza delle parole, alle potenzialità degli abbracci (che fossero fisici o metaforici). 

Abbiamo, e non siamo più. 

Non siamo più capaci di fermarci, di recuperare emozioni e relazioni. 
Non siamo empatici, prede di un individualismo, che ci impone di riempire centri commerciali nonostante sia chiaro a tutti  che è pericoloso. 
Non siamo fiduciosi, sicuri che chiunque ci stia fregando, che qualsiasi scelta fatta nasconda sempre un secondo fine.
Non siamo riflessivi; questo tempo così paradossale potrebbe essere una grande occasione per recuperare creatività e forme inedite. 
Non siamo disponibili a provare strutture organizzative nuove, anche economiche, per generare e non consumare. 
Non siamo pronti al confronto con realtà diverse che possano mettere in discussione le nostre certezze e le nostre quotidianità.

Ci siamo persi l'Essere,  badando solo all'Avere

Recuperiamoci. 



martedì 3 marzo 2020

Ci siamo ammalati tutti

Abbiamo vissuto una settimana strana in cui alcune certezze ci hanno guidato nelle cose importanti della quotidianità: la scuola, il lavoro, la spesa, il tempo libero, lo sport. Tutti siamo stati guidati dal male del nostro tempo, la tuttologia nella sua specialistica branca del pressapochismo.

Ci siamo ammalati tutti. Chi di superficialità, chi di ipocondria, chi di smania di notizia ( nel doppio senso dal volerla cercare al volerla dare).
Ci siamo ammalati di individualismo e di diffidenza. 

È stato detto tutto e il contrario di tutto senza lasciare diritto di replica alla coerenza. Tanto da chiudere alcuni settori della vita pubblica, ma lasciarne altri completamente alla mercé del non detto. 
Cosi le scuole pubbliche hanno chiuso le porte a studenti e personale, ma la formazione professionale, che sempre di apprendimento si occupa, le porte le ha aperte solo al personale. ( che poi un contesto formativo senza allievi di fatto non perde il suo senso più profondo?)
Le palestre comunali si sono fermate, ma quelle private hanno compiuto la loro missione (come se i flagelli riconoscessero le tipologie di utenze)
Per non parlare delle corse nei centri commerciali, perché lo sanno tutti essere luoghi sterili, a riempire carrelli della spesa di roba che nemmeno in guerra ti mangeresti.
Ci siamo anche dimenticati delle Paure degli altri: improvvisamente sono sparite le guerre, i tiranni e le ingiustizie che ci hanno scaldato l'inverno. 

Eppure è successa una specie di magia: finalmente persino l'operoso nord si è dovuto fermare. Per paradosso proprio chi "la neve alta un metro, ma le scuole aperte, perché io devo lavorare,  mica sono del sud " ha dovuto suo malgrado accettare e adattarsi. Prima con atteggiamento spavaldo e temerario, sprezzante di un pericolo che nel profondo si crede inesistente. Poi, quando il pericolo si è fatto più vicino, più concreto allora è partita la corsa all'amuchina, alle mascherine, alla spasmodica ricerca di dati statistici, che nella migliore delle ipotesi non si sa come interpretare

Nemmeno in questa occasione si è stati capaci di rallentare, di sospenderci. 
Si è guardata l'economia, prima ancora che la salute, in una visione miope che non tiene conto di quanto un sistema di sanità malato possa irrimediabilmente pesare sull'economia globale. 

Poteva essere un momento prezioso per recuperarsi come genitori, come figli, come coppia e perché no...come azienda. Nei momenti di difficoltà ricentrarsi serve per andare oltre, per trovare nuove strade, per fissare nuovi obiettivi, trovare stimoli creativi innovativi. 

Abbiamo scoperto con un bel po' di ritardo che il telelavoro funziona e che no, i lavoratori quando responsabilizzati e fidelizzati non ne approfittano, producono e si spronano. Tuttavia sono stati pochi a poter usufruire di questo servizio, perché le aziende non sono tecnicamente pronte, perché i datori di lavoro non lo sono psicologicamente. 

Eppure il paradosso è che il cittadino medio è iperconnesso nella sua quotidianità, a prescindere dal suo ruolo e dalle sue reali necessità professionali. Cosi che le notizie in questi giorni non avevano tempo di trovare il proprio pubblico, che quelle successive erano già distribuite. Ecco che tutti si sentono autorità. 

Si chiama Covid 19 questa volta, ma per me è accidentale, perché quanto sta accadendo potrebbe delinearsi in altri fenomeni. 
Mentre scrivo non ho un'idea chiara del percorso che farà questa storia, oltre i giorni persi di scuola e i ristoranti vuoti,; ma se la coltre di smog è diminuita a causa della peste del 2020, forse possiamo guardare i dati di questi giorni con un punto di vista nuovo.

Se abbiamo il coraggio di abbandonare le nostre certezze e i nostri paradigmi di egocentrati, forse si sarà più resilienti e capaci di non sprecare le occasioni per riappropriarsi della nostra Umanità, anche nella sua accezione di semplicità.