giovedì 24 dicembre 2009

in Armonia...[sono auguri, i miei]


Questo è stato un anno complicato e faticoso, ma sta volgendo al termine e tutto sommato il Sorriso non mi ha abbandonata.

Nel 2009 è nato Farfalle a scuola, che se pur ancora giovane mi ha dato piccole sensazioni di soddisfazione, permettendomi di entrare in un mondo di conoscenza nuovo e forse alternativo.

Questo spazio difficilmente contiene le mie emozioni private, ma siamo alla fine dell'anno, ai bilanci obbligati...

Gli Auguri vanno a tutti voi, piccolo gruppo di lettori che mi state accompagnando in questa mia personale crescita. Sono auguri che sorridono e vi invitano a farlo!

Che il Natale sia in Voi e con Voi.

E ricordate...in Armonia!

...e buon 2010!



martedì 15 dicembre 2009

Orientamento! per non naufragare nel marketing

E' tempo di Orientamento!

I nostri ragazzi devono decidere, orientandosi tra le mille proposte, le mille riforme [dichiarate e non], le mille attitudini.

C'è la corsa ai vari Saloni [dell'Orientamento appunto], agli incontri con le famiglie, gli Open Day delle Scuole e delle Agenzie Formative...
Spesso però non c'è tanto pensiero verso Chi deve scegliere.
Spesso si dà precedenza a priorità che non si chiamano Ragazzi.
Spesso si pensa alle economie delle cattedre, dei finanziamenti...e loro?


I ragazzi non sono un prodotto!
I ragazzi non sono dei dati!
I ragazzi non sono strumenti!

Si sente e si vive la corsa alle iscrizioni, per gareggiare e dimostrare che un percorso è più valido di altri. E così ci sono le scuole di serie A e quelle di serie B [spesso i ragazzi del fare sono indirizzati alla scelta di B]

E' un momento delicato della vita di un adolescente, dove si gioca parte della sua futura autostima, parte di tante scelte future.
Per questo non può ridursi ad un puro momento di marketing!
Ricordiamocelo a vicenda! [e non facciamoli naufragare nel mare delle informazioni, devono vederla la Terra]

mercoledì 9 dicembre 2009

un sorriso, una mano e...i Talenti nascosti dei ragazzi del Successo


Guardarli con il sorriso.
Guardarli con il sorriso interiore è il segreto per vedere il buono che c'è in loro.

Non si fa altro che mettere in luce gli aspetti peggiori delle nuove generazioni, l'individualismo e la voglia del tutto e subito.
Non si fa altro che guardare la loro socialità virtuale perdendo di vista le nuove potenzialità del loro essere sociali in modi nuovi.
Non si fa altro che ragionare per stereotipi perchè...si sa l'adolescenza è un'età difficile, la più brutta che ci sia.

Ma se si prova a guardarli nelle loro specificità, staccando gli occhi dal branco, ci si accorge delle ricchezze individuali e delle caratteristiche proprie che, se riconosciute, possono essere la chiave per una strategia educativa.
Partire dalle loro stesse risorse per farsi indicare la strada del loro successo, potrebbe essere il segreto di una pedagogia al passo con le generazioni liquide.
Quando dico successo non parlo di meritocrazia, di quel tipo che richiama denaro e perfomance, così come ci richiama la teoria di Abravanel che vede nello studente bravo uno strumento economico.
Questo modello però esclude e la società ora ha bisogno di includere per richiamare altri valori di cui i nostri ragazzi hanno bisogno per sentirsi "buoni".

Mi piace pensare alla scuola come Comunità Educante, dove i piccoli talenti, anche quelli più nascosti possano emergere, grazie alla pratica e alla sensibilizzazione. Anche la futura professionalità del migliore studente possibile è destinata a plasmarsi, nutrirsi, crescere col tempo.

Non sempre i talenti sono allo scoperto, sono espliciti: nei ragazzi del fare spesso sono latenti, da scoprire. Bisogna fornire loro lo spazio creativo necessario a stanare le specificità e utilizzarle come rinforzo, anche disciplinare. E' l'ascolto empatico che crea i legami creativi. [il richiamo alla clinica del legame di Benasayag e Schmit è quasi scontato].

Per aiutarli a scoprirsi e scoprire le proprie attitudini nascoste è importante da parte di noi adulti una osservazione partecipante, che ci renda parte del gioco, che ci porti a condividere con loro le novità e i successi. La voglia di provare deve essere orientata, accompagnata.

L'entusiasmo si impara guardandolo, respirandolo.

Ci si deve occupare dell'Anima dei ragazzi, del loro volersi bene!

Gennari nel suo "Trattato di pedagogia generale" richiama alla necessità di investire sullo sviluppo soggettivo dell'individuo:
Finchè la scuola sarà costruita secondo criteri di selezione in base alle capacità dei singoli di integrarsi a differenti livelli nell'economia di mercato, il soggetto non arriverà mai ad un nucleo emancipativo proprio dell'uomo formato nella sua interiorità, nella sua libertà e nella sua autonomia di pensiero.


Le regole economiche non si associano ai sorrisi. La soddisfazione dei primi passi compiuti da soli, per arrivare a prendere qualcosa che si desidera si associa al sorriso.

Formare ed educare sono professioni che devono inevitabilmente puntare al successo, ai risultati.
Ma siamo sicuri di essere tutti d'accordo sul sgnificato di Successo Formativo?

mercoledì 2 dicembre 2009

L'economia dell'adolescente

Teenager2009 [2]

Qual è il profilo economico dei nostri teenager?

E' inutile nascondere che l'anno di recessione ha favorito una serie di cambiamenti e di orientamenti di consumo diversi.

I nostri giovani hanno solo percepito la crisi.
Le fonti del denaro fino ai 19 anni sono dei genitori, in seguito compaiono delle entrate provenienti da piccole occupazioni.
I dati ufficiali dicono che si arriva anche ad una spesa mensile di 500 euro, che si declina in voci di spesa come ricarica del cellulare, panini, divertimenti. Molti sono i settori in discesa quali dischi, bevande, sigarette, abbigliamento e accessori.

Questi ragazzi non sono molto consapevoli di aver modificato i loro consumi, ma a qualcosa hanno rinunciato.

Le famiglie hanno coperto l'impatto della crisi sui giovani in piena coerenza tutta italiana. Anche i servizi bancari sono pilotati dai genitori o dai nonni.

Pare comunque che i teenager italiani siano i più viziati d'Europa, come ci spiega Marco Lignana dell'Espresso.

Dal punto di vista del Marketing i teenager sono nati per comprare e dagli 8 ai 12 anni considerano lo shopping come parte integrante della loro vita. Anche la paghetta assume significato di consumo. Manca ancora a questo proposito una sensibilizzazione culturale che declini la paghetta in risparmio. A riguardo mi vengono in mente alcune riiflessioni in atto come quella di Juliet Schor che nel suo libro Born to buy analizza come un certo tipo di marketing abbia creato una generazione di bambini violentati dall'invito all'acquisto, perchè tutto necessario. C'è poi anche il progetto di Guido Castiglia e Renzo Raccanelli, che ha proprio come obiettivo la sensibilizzazione e lo sviluppo della consapevolezza in merito alle potenzialità [non sempre positive] delle azioni pubblicitarie sui ragazzi, con tanto di lettera d'intenti.
Anche i più piccoli possono facilmente capire cosa si vuole dimostrare con il progetto grazie al bel racconto di Guido La Guerra di nonno Franco.

Gli adolescenti amano la pubblicità ma la vogliono scegliere, vogliono cercarla come se fosse un contenuto al pari di altri universalmente riconosciuti.
Interessante notare come il trand di attenzione alla pubblicità dal 1999 al 2009 sia in calo in TV, radio, cinema, periodici, tranne che in internet. Questo perchè sul web c'è un contatto di orizzontalità che nessun altro mezzo mediatico ha.

Un dato da segnalare che caratterizza gli adolescenti di questa generazione è che ciò a cui non rinuncerebbero mai è il telefonino, a riprova della loro fisiologica necessità di essere perennemente e potenzialmente connessi.

Non posso resistere nel richiamare sulla quantità e costi degli apparecchi che quasi imponiamo loro. La domanda è retorica lo so: ma è proprio così necessario?

domenica 29 novembre 2009

Riconoscersi...per avere il mondo tra le mani




Cosa vuol dire intercultura?

Anche questo è un argomento racchiuso nel grande contenitore della Pari Opportunità, spesso confuso e stereotipato.

Spiegare cosa voglia dire intercultura ai ragazzi, soprattutto ai ragazzi del fare è più complicato nella teoria che nella pratica.
A guardarli sono l'espressione dell'integrazione inconsapevole. Ad affrontare l'argomento in maniera diretta si professano convinti e orgogliosi razzisti, salmodiando le solite banalità sentite e risentite a casa e attarverso i media. Ma quando li si guarda insieme, nelle loro dinamiche, nei loro discorsi e nei loro giochi...qualcosa risulta stonato e ingenuamente positivo.

Integrare significa riconoscere. Integrarsi significa riconoscersi.

Avete mai provato ad attacare il ragazzo meno popolare di una classe? improvvisamente tutti si sentono in dovere di intervenire in sua difesa...Non è ipocrisia, piuttosto appartenenza. Perchè gli adolescenti hanno un terribile bisogno di senso di appartenenza, di riconoscersi appunto!

E' il mondo degli adulti ad essere sterotipato e pieno di schemi entro cui si pretende di far rientrare i ragazzi.

[Perchè] Se sei straniero, adolescente in uscita dalle Scuole Medie [mi perdonerete se non uso la nuova definizione a cui faccio fatica ad abituarmi] è quasi scontato che la scelta debba essere verso la Formazione Professionale, se hai la fortuna di stare al nord, se invece sei straniero al sud...la tua strada è quella della dispersione. Se poi sei cinese, allora spesso si dà per scontato che la scelta debba essere verso il settore ristorativo.

Il problema è da ricercarsi anche in termini politici, mi riferisco a quelle politiche territoriali che non sempre hanno la sensibilità [o le risorse economiche]per intervenire nelle scuole con i mediatori. [una figura professionale complessa e poliedrica il cui potenziale non sempre è conosciuto]

Il mediatore con una presenza stabile aggiungerebbe valore alle modalità didattiche, favorendo il raggiungimento degli obiettivi che la mission specifica di ogni comunità educativa si pone. Purtroppo spesso si confonde il ruolo del mediatore con un particolare tipo di sostegno, riducendolo a supporto linguistico. Io credo invece che la presenza di un mediatore nelle classi possa giovare non solo agli allievi stranieri, per riportare quella che già il protosogiologo tunisino Khaldun chiamava l'armonia delle intelligenze, la capacità di mettersi nei panni altrui e allontanarsi un po' dal soggettivismo esasperato paradigma della società attuale.c

Accettare e riconoscere presuppone il conoscere.

Intercultura vuol dire anche condivisione. Il conflitto si supera con il piacere di compartecipare ad usanze e culture. Curare l'osmosi delle culture giova allo sviluppo in termini economici, di conoscenza e di professionalità.

La multicultura non arricchisce le società se non si applica all' interculturalità, strategia che ha la potenzialità di creare un substrato comune di dialogo e confronto.

Come dice Pierpaolo Donati
"Per creare un mondo comune fra culture diverse occorre una semantica relazionale del riconoscimento, la quale non può mettere capo nè alle scelte puramente individuali o del mercato, nè ad apparati dello stato. Deve invece essere espressione di un rinnovamento della ragione, ossia deve andare oltre i limiti della razionalità occidentale, superando la contrapposizione tra la razionalità strumentale (propria del mercato) e una vaga razionalità al valore, soggettivo o ideologico..."


Non è forse proprio la messa in atto della semantica del riconoscimento l'inizio di una politica attiva e pedagogica delle nuove generazioni all'accoglienza e alla consapevolezza dell'altro, della differenza come risorsa e strategia?

martedì 24 novembre 2009

I nativi digitali-generazione facebook




Un altro interessante contributo al dibattito sulle nuove generazioni e sullo loro essere liquidi in modo naturale e innato. Che impatto hanno i nuovi media sull'interazione sociale dei nativi digitali? e sul loro apprendimento?

I ragazzi e la violenza: in mostra per le Donne

La meraviglia e la gioia dei sensi!

Queste sono le sensazioni che la mostra dei ragazzi del Liceo Artistico di Pinerolo mi ha regalato.
La mostra non a caso si è aperta nella settimana del 25 novembre, perchè a tema: contro la violenza sulle donne.

I ragazzi hanno presentato dei lavori davvero originali e di impatto sia visivo, sia concettuale.

Un altro esempio di come gli adolescenti abbiano vitalità creativa che deve solo trovare canali e contenitori.

La libertà creativa che gli insegnanti hanno lasciato loro ha dato i suoi frutti, e sarà interessante utliizzare la mostra come strumento di apprendimento tra pari, permettendo ad altri adolescenti la visita alla mostra.


Alcune delle opere le potete ammirrare qui [chiedo scusa ai ragazzi di cui non ho mostrato la creazione]

Le immagini volutamente non sono accompagnate dai nomi di chi le ha pensate e rese possibili, perchè ad immergersi tra i quadri si ha la sensazione chiara e violenta di un lavoro di gruppo, come se i singoli siano stati la mano di una Mente fatta dalla collettività. Questa è la vera forza della mostra.

Ciò che colpisce è l'idea precisa e adulta del concetto di violenza [che non vuol solo dire botte], presentata artisticamente in modo maturo e consapevole.

Tanti i grigi, ma anche i colori spiccano a volte per sottolineare la forza propulsiva di immagini, stati e aggressioni, a volte per respirare ...speranza e ottimismo.

Si esce scossi dalla sala, ma anche felici...felici di ritrovare la creatività e il fare dei ragazzi.

domenica 22 novembre 2009

MomCamp...anche a Torino [il mio]


Un MomCamp a Torino, non lontano da casa mia. Mi sono detta che avrei dovuto cogliere l'occasione [il Piemonte è tirchio di momenti di condivisione che si traslino dal virtuale al reale].

Così sono andata, in una mattina di nebbia, solitaria...perchè io sono una di quelle mamme che hanno dovuto accettare la modernità anche nel non poter condividere l'essere genitore con un compagno [...]: non era semplicemente la domenica giusta per averli con Me. Ma credo sia stato proprio il mio essere sola che mi ha permesso di approcciarmi in un modo un po' alternativo al MomCamp.


Vi ho osservate Mamme della Rete: serene, sorridenti, entusiaste con la voglia di condividersi per quel pezzo di Voi/Noi che ci arricchisce come Donne. Ma ciò che mi ha colpito più di tutto è stato l'Orgoglio, l'orgoglio di essere lì non come blogger, non come professioniste, non come esperte, ma come Mamme!

Quanta creatività e progettualità messa a disposizione!

Non poteva non colpirmi l'energia trascinante di Jolanda che con filastrocche.it si è creata il suo universo, la sua riconoscibilità professionale e personale, aprendosi al mondo in modo fantasioso e giocoso.
Ma la semplicità con cui Cristiana [con la sua bimba appesa al collo], dell'Associazione Guardaluna, ci ha raccontato come la sua attitudine all'essere commadre si sposasse bene con la sua professionalità mi ha quasi commossa.

Utili servizi sono stati presentati da Luisa e Laura con il loro portale per il turismo per tutta la famiglia e da Irene con il social network [tutto torinese, ma in espansione su l'intero territorio nazionale] per trovare un mondo di mamme a disposizione con cui barattare tempi e momenti: insomma per condividersi nel proprio ruolo.

E' stato bello vedere gli animatori di Agape che affascinavano i piccoli ottenendo silenziosa meraviglia.

Chiedendo scusa alle tante mamme che non ho citato...spero di potervi incontrare per condividere questa volta..i nostri bimbi e perchè no, evolvere verso nuovi modi di essere Mamme e Donne.

sabato 21 novembre 2009

Teenagers 2009 [1] Prime riflessioni e sollecitazioni di una giornata ricca



Anche quest'anno si è replicato Teenagers, l'evento che Repubblica ha inventato per mettere i riflettori sugli adolescenti, darne un identikit e cercare delle risposte comuni alle loro richieste.

L'evento è stato decisamente ricco di spunti grazie ai tanti dati e alle ricerche presentati. [e non basterà un post per raccontarlo]

Allora chi è il nostro adolescente? In quale quadro valoriale si proietta?

Tra i valori i giovani mettono l'amicizia, la salute, il benessere della famiglia, il posto di lavoro fisso [questa è una novità degli ultimi due anni], e non c'è l'impegno politico e sociale. Lo spazio di autonomia è cresciuto notevolmente e le istituzioni vengono sentite molto distanti. Infatti i giovani riconoscono fiducia agli scienziati,alle associazioni, ai carabinieri [grazie alla fiction], ma la stella polare è internet.

Internet può quindi essere considerato un valore?

Proviamo a capire perchè.

La modernità ha favorito la separazione tra emozioni e razionalità; ci si è applicati a dividere e analizzare i problemi per risolverli, ma difficilmente si pone la riflessione sul valore del progresso. La comunanza allora si rappresenta attarverso la condivisione [di cui il web si fa simbolo e metafora].
La rete sostituisce quello che per la nostra generazione era il senso di appartenenza [si decideva se essere paninari, punk o alternativi, ora se andare su facebook, netlog o messanger].
Internet ha abbattuto le barriere architettoniche e le distanze, ma porta anche felicità. Una felicità data dal piacere di creare, condividere e socializzare. Perchè gli adolescenti sono creativi!

Per un adolescente è incomprensibile non poter accedere a contenuti e musica gratuitamente. Gli adolescenti sono al tempo stesso cacciatori e produttori di contenuti, in maniera del tutto naturale. I contenuti diventano espressione di una identità sia se subiti, sia quando agiti.
La camera che era per noi il primo laboratorio di identità, ora è sostituito dal profilo del social network: decorare il profilo è esprimere se stessi di fronte agli amici, come decorare la propria stanza [per questo twitter non è interessante per un adolescente].
I contenuti devono essere spendibli, perchè merce di scambio.

Agli adolescenti non interessa la convergenza dei mezzi, ma la crossmedialità [la foto che si apre col link l'ho rubata a mdplab che ringrazio] cercano strumenti diversi che possano essere complementari per la riprogettazione dei contenuti che destano il loro interesse. [provocatoriamente possiamo dire che nessun adolescente guarda la tv sulla tv!]

Il talento creativo dei ragazzi fa sì che l'esposizione mediatica narcisistica diventi capacità organizzativa e progettuale, l'adolescente si trasformma così da expo teen a expert teen. Il fenomeno Numa Numa ne è un esempio! [e il riferimento torna all'apprendimento informale]

Aiutarli a non perdersi e non perdere le potenzialità sarebbe permettere loro l'open source, wifi urbani e connessioni gratuite ovunque!
I ragazzi hanno bisogno di raccogliere delle sfide, dove possano riconoscersi e riconoscere delle competenze.

Che dite? siamo pronti a farci riconoscere?

domenica 15 novembre 2009

25 novembre! una data da ricordare...[o da non dimenticare]



Riflessioni ad alta voce sulle pari opportunità.


Anche le Agenzie Formative si muovono nella lotta contro la violenza sulle donne.

Interessante l'iniziativa in rete che vede protagoniste le Referenti per le Pari Opportunità del territorio pinerolese, che raccogliendo lo stimolo del Centro per l'Impiego di Pinerolo hanno messo la didattica al servizio delle Pari Opportunità, appunto.

Infatti i ragazzi del fare di CIOFS, ENGIM e CFIQ da alcune settimane stanno preparando materiali e interventi per la giornata del 18 novembre 2009, la cui ricca programmazione si può trovare qui.

Da diversi anni ormai nel mondo della Formazione Professionale è posta molta attenzione alla riflessione nell' ambito della dimesione di genere, anche grazie ai suggerimenti dell'Unione Europea.
Tuttavia per le caratteristiche proprie del target di utenza riflettere sulla violenza e le discriminazioni sul lavoro, può essere considerato un argomento da inserire nell' area professionalizzante. E non mi riferisco solo ai ragazzi in Obbligo di Istruzione, ma anche ad alcuni specifici clienti adulti della Formazione Professionale con pochi strumenti e risorse personali per poter affrontare la quotidianità, come stranieri e persone con bassa scolarità.

La trasversalità dell'argomento non copre l'importanza che le diverse tematiche dovrebbero avere e le riflessioni che si dovrebbero fare strada nei cervelli dei nostri ragazzi dalle braghe larghe. Sicuramente però manca una giusta preparazione e sensibilizzazione nei formatori e insegnanti e gli interventi sui ragazzi sono lasciati alle sensibilità individuali di chi va in aula.

Mi chiedo perchè un argomento così importante che avrebbe tanto impatto sulla Società venga lasciato alle iniziative individuali?

Per fortuna qualcosa intorno si muove, anche grazie alle campagne ministeriali e non. Così nascono le Reti di Parità e iniziative come questa.

I nostri ragazzi hanno le ideee piuttosto confuse in merito alle Pari Opportunità e a chiaccherare con loro ci si accorge che ciò che per noi adulti è considerata violenza, per loro è un'accettabile prolungamento dell'insoddisfazione e del disagio vissuto. Ciò che per loro è violenza per noi è drammatica normalità di una generazione che non capiamo e che facciamo fatica a riconoscere come figlia della nostra.

Nelle case di alcuni ragazzi del fare la violenza è la legge, la regola.
Il compito della scuola che vuole essere comunità educante è quello di insegnare che le regole, quando sbagliate, possono essere sovvertite.
Ma quali sono gli strumenti a disposizione? e soprattutto dove la distanza educativa deve segnare il confine?

Ma per la giornata contro la violenza sulle donne voluta dall'ONU, torna a farsi strada un'altra mia fissa di cui già Farfalle è stato testimone: la stereotipizzazione delle professioni e delle relative professionalità.
Intendo dire che ciò che il mondo della scuola offre risponde agli schemi che da generazioni ci si trasmette: una ragazza fa la segretaria, un maschio il tornitore.
Non è forse anche questa una forma di violenza, se pure sottile e nascostamente psicologica?
Alcune ricerche hanno rilevato che mentre le donne stanno a poco a poco raggiungendo posizioni professionali maschili, non accade il contrario, questo a causa dello scarso riconoscimento professionale di alcuni mestieri [più tipicamente femminili appunto].
Torno quindi a sottolineare la necessità di percorsi orientativi che tengano conto anche di queste tematiche.

Infine una raccomandazione a me e a chi legge: i contenuti trasmessi come tam-tam per il 25 novembre e l'8 marzo devono continuare in un'unica eco nelle aule e fuori. [sulle LIM e sulla carta ;)]

Scritto in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne
Grazie a Ilaria che ha fornito l'immagine del post

martedì 20 ottobre 2009

I nostri ragazzi..tutti Bonaventura!


Perchè non rispolverare Tofano?

A me piace considerarlo come il padre della letteratura teatrale per l'infanzia italiana, perchè i suoi testi presentano caratteristiche nuove rispetto ai testi di chi lo ha preceduto.

Come lo stesso Tofano più volte afferma, il suo teatro si pone come unico obiettivo divertire. Il genere deve essere quello comico, caricaturale perchè lo scopo è di colpire l'immaginazione dei bambini attraverso il fantastico, il fiabesco, l'avventuroso.

Ridere con qualunque mezzo, purchè s'intende, di buon gusto


Ed è all'insegna del buon gusto che nasce il "Signor Bonaventura", personaggio positivo, eroe involontario, premiato alla fine di ogni avventura con l'ironico e simbolico milione.
Ogni lettore [o spettatore] vi si può riconoscere, le sue sfortune sono i simboli di una quotidianità comune agli uomini ordinari.

Le commedie di Tofano si fanno breviario teatrale dell'Italia che cerca di sopravvivere in un tempo tra le guerre. In un regno che non c'è, popolato da un'aristocrazia decadente, si prendono le distanze dal clima retorico e pedagogicamente conservatore del regime fascista.

La grande novità sta nel tentativo di mediare due mondi che fino ad allora erano stati tenuti distanti: il teatro e l'infanzia. I bambini sono considerati tanto ingelligenti quanto gli adulti e attraverso le avventure di Bonaventura possono essere sensibilizzati al senso estetico, senza dover passare per la strada dell'indottrinamento.

I bambini di Tofano sono radiosi e hanno voglia di ridere. Sebbene non ci sia nessun intento pedagogico dietro la nascita di Bonaventura, il messaggio è chiaro: insegnamo l'ottimismo...Giustifica
risvegliando in essi il senso della bontà, più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolottie, soprattutto, della retorica [S. Tofano da "Recitare per i bambini", 1937]


Allora...insegnamo a sorridere, ad essere autoironici, a trovare il lato comico della vita., affinchè anche i nosti ragazzi si possano sentire eroi di un loro piccolo mondo.
Bonaventura riusciva a superare qualsiasi avversità per arrivare al famoso milione. [si può osare chiamarla involontaria pedagogia del successo?]

Insegnamo a trovarlo il milione.

Ma soprattutto sorridiamo a questi ragazzi!








lunedì 5 ottobre 2009

Adolescenti oggi-sfide educative


Lo ammetto: ho risposto all'invito da parte del servizio Orientarsi della Provincia di Torino, all'incontro con Paolo Crepet un po' prevenuta.Corsivo
Invece il carisma, la semplicità e l'immediatezza con cui ha catturato l'uditorio ha fatto sì che avessi voglia di condividerne le sollecitazioni e le riflessioni.

Al centro delle riflessioni la cultura tutta italiana pedofobica, come se ci fosse una sorta di razzismo nei confronti dei ragazzi. Educare richiede tempo e la nostra generazione invece il tempo lo riduce.

Il vuoto educativo è stato sostituito dal "pieno televisivo" [per intenderci rappresentato dalle tante proposte alla Maria de Filippi]; mentre la generazione dei nostri nonni prevedeva un'educazione tra pari e diverse figure parentali educative.

E' imbarazzante pensare ad una società che si vede ridurre i tempi scolastici proprio quando dovrebbe chiedere che vengano occupati gli spazi che la Famiglia non può più occupare.
Apparentemente Crepet propone una cosa banale: cambiare il nome del Ministero dell'Istruzione in Ministero dell'Educazione. I ragazzi vanno educati [e non istruiti], educati alla Vita! E invece le competenze fondamentali per affrontare il mondo nella pagella non compaiono: autonomia, autostima e creatività.

Ciò che ripeto quasi salmodiando ai ragazzi del fare: non importa che si sappia di chimica o matematica, se non si è capaci a vivere.[ La scuola non seleziona i migliori: i primi a scuola non sono automaticamente i primi nella vita.]

Il vuoto educativo è riempito dai genitori dal senso di colpa, che toglie la distanza educativa, per sostituirla con un'ossessiva vicinanza. I genitori si fanno camerieri dei figli, senza cercare i talenti dei propri ragazzi, senza farli crescere.

Bisogna partire dal presupposto che i ragazzi siano intelligenti, perchè educare significa rischiare: chi non sa rischiare non può fare l'educatore.

Parte del rischio è anche la consapevolezza che educare non è democratico, l'insegnante è il capitano e i ragazzi i suoi marinai che devono potersi fidare di chi li guida. Il capitano non negozia, perchè conosce la meta e sa affrontare le intemperie.

L'insegnante deve essere umile per poter crescere insieme ai suoi ragazzi, essere severo senza scordarsi di sorridere.
L'insegnante deve essere in grado di insegnare le emozioni. Non si tratta di colmare i vuoti, ma solo dare gli strumenti affinchè si possa imparare a colmarli.

I ragazzi in preda al vuoto educativo non crescono: invecchiano e basta! Coltivare le differenze e cogliere la sfida che gli adolescenti ci lanciano dà loro quel giusto riferimento che insegna a Pensare.

Un grande educatore è Passione! Ditelo a chi non ce l'ha!

integrazione del 16 ottobre 2009
intervista a Paolo Crepet su Repubblica.it

http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuole-genitori/intervista-crepet/intervista-crepet.html?rss



martedì 29 settembre 2009

Ce la posso fare! dal Piemonte...a Napoli


Grazie ala convegno "Ce la posso fare!" ho avuto modo di ascoltare quasi affascinata la testimonianza di Marika Iorio, insegnante di Scuola Chance a Napoli.

Marika ci ha spiegato come sia molto diversa la percezione del concetto di dispersione scolastica a Napoli.

I problemi sociali hanno una portata e una sostanza decisamente lontane da ciò a cui siamo abituati dalle nostre parti: i ragazzi dispersi sono materiale interessante per la camorra!

Gli educatori si mettono in gioco soprattutto in contesti informali [come la mensa ad esempio] per poter instaurare un'alleanza educativa che possa essere da tramite per il successo formativo, che in questo caso ha anche una valenza di contenimento sociale.

Ai ragazzi vengono proposte solo due materie al giorno per due ore ciascuna, per evitare loro lo stress che minerebbe la qualità dell' apprendimento.

Ciò a cui viene data importanza è rendere responsabili e autonomi i ragazzi nelle scelte e le modalità di gestione delle difficoltà di grupo e individuali [anche con il problem solving].

L'entusiasmo e la lucidità con cui Marika ha raccontato la sua esperienza con i ragazzi di Scuola Chance ha trasmesso una energia positiva e ricca di speranza, la certezza che con la volontà di trovare nuove modalità si può agganciare anche Chi sembra lontano. Bello il racconto del ragazzo che rifiutava qualsiasi tipo di impegno, ma bravo a ballare...
Così lo hanno riportato a scuola grazie alla break dance, permettendogli di ballare e fare esperienze eccezionali nel ballo hanno ottenuto un minimo impegno e disciplina.
Un bell'esempio concreto di negoziazione e mediazione.

Il motto che può sintetizzare l'approccio è apprendere facendo!

La conclusione dell'intervento mi è sembrata la chiave che può aprire le porte al tentativo di risolvere o porre i limiti al problema della dispersione:
e' possibile creare spazi di pensieri e parole negli esclusi!


Mi chiedo la scuola del rigore che tanto è di moda di questi tempi va davvero in questa direzione? può davvero dare la libertà di spazi, per tutti, esclusi compresi?












mercoledì 23 settembre 2009

dal Dulp




Di ritorno dal Dulp...
Ormai sono tornata da qualche giorno da quella che per Me è stata un'esperienza molto interessante e mi ero ripromessa di scriverne subito sotto la spinta dell'entusiasmo. In realtà quando ho cercato di fare ordine tra le tante sollecitazioni ricevute mi sono trovata in difficoltà.

Al di là della Vision di cui Dulp è portavoce e del paradigma che si va cercando [e si è cercato attarverso le discussioni in presenza] nelle discussioni sul gruppo di Facebook a me ha confermato la necessità [più volte dichiarata qui] della centralità delle persone, come dice Carlo Giovannella. ["bisogna recuperare le facce" bellissima immagine il cui significato condivido]

Cosa ho portato a casa? sicuramente nuova curiosità e voglia di sperimentare.

Ho chiarito a me stessa cosa voglia dire per le nuove generazioni l'uso delle tecnologie, ma soprattutto quale significato può assumere l'uso didattico.
Ho incontrato gente entusiasta e competente, le cui sollecitazioni sono strumento prezioso per nuove strade che vorrò percorrere.

E' stato bello vedere come la fisica, la pedagogia, la sociologia, l'informatica e forse la filosofia cercassero connessioni e attraverso strade diverse, un'unica meta.

Una bella sorpresa: conoscere insegnanti della Scuola [quella tradizionale e non quella dei ragazzi del fare] diversi dallo stereotipo [annoiato e frustrato], ma con fantasia e desiderio di ricerca, voglia di mettersi in gioco e di proporre strumenti alternativi, nuovi e al passo con le generazioni..liquide appunto. Come Annalisa Boniello che usa Second Life con i suoi ragazzi per insegnare scienze e Elisa Spadavecchia che mette l'inglese su Wiki, Podcast, blog e piattaforme... [chiedo scusa ai tanti che non cito]

Elisa ci ha fatto toccare con mano come l'uso della piattaforma possa allargare il tempo scolastico oltre la scuola, e come il blog permetta di rendere visibile ad allievi e genitori il lavoro che c'è dietro una lezione. Mentre Annalisa ci ha fatto riflettere sul significato pedagogico del gioco e sulle sue potenzialità educative:apprendere attraverso il gioco può sembrare sovversivo, perchè in Italia pensiamo che per insegnare non bisogna giocare, ma quante competenze trasversali e non si possono implementare!

Tra le tante contaminazioni il complex learning di Eleonora Guglielman e Laura Vettraino mi ha sollecitato maggiormente.
Esso propone un approccio nuovo capace di transitare in diversi strumenti, contaminando ambienti aperti non predefiniti rispondendo proprio a quel bisogno che esprimevo all'inizio, che cerca la centralità dell'allievo attraverso la personalizzazione, la multiattorialità e la fluidità. Un approccio olistico! [ma mi riprometto di approfondire e farne un post ad hoc]

Mi piace concludere con una frase di Marcello Bettoni:
La scuola deve essere realtà, ma allo stesso tempo una realtà facilitata, quindi una realtà fatta di simulazione.

Ritengo che una scuola che deve contribuire alla formazione di prossimi lavoratori [come la Formazione Professionale appunto] debba essere a maggior ragione liquida e ubiqua, proprio come Lisbona ci ha chiesto.

In attesa di una prossima dulpata...


mercoledì 9 settembre 2009

Il discorso del Presidente


Vi segnalo il discorso di Obama per salutare gli studenti all'inizio dell'anno scolastico.

Si apprezza l' Uomo che parla agli Uomini del futuro, con serenità, consapevolezza e speranza.

Un buon modo per iniziare l'anno formativo, con le parole di Chi ha vissuto e ha saputo essere oltre che fare.

lunedì 7 settembre 2009

Un ritorno...di buon auspicio!




Quando passano da qui i ragazzi del fare portano con sè tutto il peso delle esperienze vissute che spesso sono negative e fallimentari.
Questo può voler dire fatica e a volte anche rabbia per la frustrazione di non riuscire a trasmettere loro quegli obiettivi che i decreti e la tradizione ci chiedono. Ma anche dispiacere per il senso di Cura che non sempre riesce a percorrere le strade desiderate a causa della quotidianità e delle fatiche che questa si trascina.

Poi succede che un giorno ritornano...vengono a raccontarsi, a condividere le loro strade, i loro sogni disillusi, ma anche i piccoli successi.

Si mostrano nella loro crescita e nel loro desiderio di tornare là dove hanno vissuto le contraddizioni di un periodo adolescenziale che rimpiangono, e di cui sanno non aver approfittato abbastanza.

Portano con loro lo sguardo della riconoscenza e dell'affetto, un affetto sostenuto dalla stima e dal rispetto.

Chiedono l'energia di condividere un passato che può farsi futuro attraverso collaborazioni, sorrisi e piccoli spazi di trasgressione, una trasgressione che semplicemente si declina con il tu dal lei...

E' un bel modo di ricominciare, di affrontare il nuovo anno formativo rincontrare gli ex allievi, soprattutto quelli che che te lo avevano giurato: mai più qui!

E' nei sorrisi di chi torna e cerca chi l'ha accompagnato nel mondo verso la propria strada, che si trova la voglia di continuare a stare in un settore professionale complicato e di nicchia, che si prende energia per continuare l'evoluzione.

Buon anno a Tutti!


venerdì 4 settembre 2009

DULP CAMP 09

Ubiquitous Learning in Liquid Learning Places:
challenging Technologies, rethinking Pedagogy, being Design inspired.

D per Design Inspired Learning
U per Ubiquitous Learning
L per Liquid Learning Places
P per Person in Place Centred Design
14-15 settembre 2009
Facoltà di Scienze M.F.N. - Aula T1 - Via della ricerca scientifica 1
Università di Roma Tor Vergata

Promosso dalla ScuolaIaD dell'Università di Roma Tor Vergata, sostenuto dalla Garamond, sotto l'egida della Sie-L e del SIGCHI Italy il 14-15 settembre 2009 avrà luogo il primo convegno sul DULP, un evento che può essere considerato come il seme iniziale di un "laboratorio" in divenire, da cui emergeranno le "best practice" destinate a indirizzare i processi formativi del terzo millennio.
A quindici anni dall'esplosione di internet, infatti, passata l'euforia, molti - sia all'interno della DG dell'Unione Europea preposta al TEL (Technology Enhanced Learning) che tra i curatori di eventi quali ONLINE EDUCA di Berlino - si chiedono cosa sarà delle pratiche di apprendimento nel futuro più o meno lontano ?
E l'interrogativo si trasforma in vera e propria sfida quando ci si rende conto che viviamo in un mondo in rapida trasformazione ove la conoscenza immateriale è diventata bene primario, in cui si affermano nuovi stili di vita caratterizzati da una sempre maggiore ubiquità spazio temporale e da contesti sempre più liquidi e coevolutivi, in cui interagiremo con spazi fisici sempre più sensibili e responsivi in maniera estremamente naturale utilizzando i gesti, il parlato, la nostra emotività, in cui i luoghi si popoleranno di relazioni sociali sempre più semplici da istaurare e complesse da gestire, in cui la personalizzazione e la ricchezza di senso dell'esperienza personale diverrà il principale metro di giudizio.
La sfida è enorme, sia per le tecnologie che per la pedagogia, e presuppone la capacità di intervenire a piu' livelli - progettuale, metodologico e tecnico - per favorire nell'allievo l'insorgere di un'atteggiamento da designer creativo, riflessivo e consapevole.

"The Grand Challenge", appunto ... e il DULP vuole essere una prima risposta.

Il programma dell'evento, molto ricco, presenta tre sessioni dedicate alle "riflessioni e suggestioni teoriche", agli "strumenti del DULP" e alla loro applicazione pratica. Vi saranno, poi, una ricchissima sessione DEMO, due tutorial sull'open source e la "didattica scolastica" e su di un innovativo ambiente di formazione on-line: LIFE.
Completerà degnamente il programma un DULPCamp aperto al libero confronto, che condurrà alla definizione collaborativa dell'agenda DULP per il prossimo futuro.

Maggiori info sul sito ufficiale

Oggetto "DULP '09"
(evento satellite del VI Congresso Nazionale SIe-L Univ. di Salerno)

Organizzazione Scuola IaD dell'Università di Roma Tor Vergata

con il sostegno di Garamond s.r.l.

sotto l'egida di SieL e SIGCHItaly

Luogo Aula T1 - Facoltà di Scienze M.F.N.
Università di Roma Tor Vergata
Via della Ricerca Scentifica 1 - Roma

Programma 14 Settembre
ore 9:00 - 11:15
Demo DULP (sessione DEMO)
ore 11:30 - 13:45
DULP: riflessioni e suggestioni teoriche
ore 15:00 - 18:15
DULPCamp
ore 18:15 - 19:15
Internet 2.0 e Open Source per la didattica scolastica (tutorial)
15 Settembre
ore 9:00 - 10:45
DULPcamp: definizione collaborativa di un'agenda per il futuro ore 11:30 - 13:15
Il DULP e le discipline
ore 14:15 - 16:45
Strumenti per il DULP
ore 18:15 - 19:15
"A new LIFE" (tutorial)

Mezzi pubblici metro A: fermata Anagnina; bus: 20, 046

E-mail ufficio stampa santo[at]scuolaiad.it

giovedì 6 agosto 2009

L'empatia..strumento necessario per la Formazione


Che cosa è cambiato dalla formazione professionale degli anni '50 ad oggi?

Ciò che è cambiato da allora a parte i ragazzi e i loro bisogni, è il setting nel quale essi si formano.

Un tempo la formazione era intesa come addestramento, un modello formativo che si è diffuso in Italia nel periodo del boom economico e che ha sostituito a poco a poco il modello del maestro di bottega. Il concetto di addestramento si alimenta grazie ai cambiamenti dei processi produttivi: dalla produzione artigianale alla produzione su scala. Ne consegue l'esigenza di formare competenze in un breve periodo, senza interessarsi troppo a Chi si forma.

Anche la formazione professionale inconsapevolmente ha risentito dei postulati del behaviorismo skinneriano e dell'ansia di prestazione, senza guardare a Chi si sta formando, alle sue caratteristiche e al perchè ha scelto quella professione piuttosto che un'altra.

Con gli anni '70 si sono affacciati i centri di formazione professionale di ispirazione religiosa e sindacale che si sono caratterizzati per un proprio modello pedagogico che superasse il “saper fare” proponendo, quello che nella nuova accezione per competenze è il “saper essere”, l' Uomo Etico.

L'Uomo Etico si forma attraverso l'esempio e la Cura [la solita cura educativa di cui in questo blog abbiamo ripetutamente parlato].

L'Uomo Etico si prepara, come dice Ferdinando De Muro, con una formazione intesa come esperienza “integrale”, con un percorso che ricostruisca la propria identità professionale, che metta le basi per nuove sfide.

L'allievo di oggi non è più solo ricettore, ma è parte integrante del processo didattico. Grazie all'atteggiamento dell'allievo la lezione e l'obiettivo dell'azione formativa possono [e devono] essere modificati, e sorprendentemente a volte possono assumere forme più adeguate, anche se non tradizionali e consuete.

Per questa ragione non si può pensare di fare formazione senza un atteggiamento empatico.

De Muro definisce l'empatia

come la capacità di sintonizzarsi cognitivamente ed emotivamente (con la mente e con il cuore) con gli altri, con ciò che stanno vivendo in un preciso momento. E' una tendenza (sensibilità) che consente ad una persona di percepire i bisogni dell'altro, ad assumerne le prospettive, a viverne le emozioni e a reagire emotivamente in congruenza con la situazione.

E' fondamentale capire i bisogni di chi si sta formando, perchè è l'unico strumento che abbiamo a disposizione per segnare la strada della crescita personale dei ragazzi ed evitare [o ridurre] le sconfitte.

L'empatia è ciò che ci permette di non considerare la formazione professionale esclusivamente dal punto di vista del lavoro, ma anche e soprattutto dal punto di vista della persona.

Mettere al centro la Persona permette di guardare prospettive nuove anche in un mondo del lavoro alienato e forse poco educativo. Perchè come diceva Simone Weil

un lavoro ridotto a merce e subìto trasforma l'uomo in un'orrenda mostruosità.
Mentre una professionalità consapevole appresa grazie alla passione, all'interesse e all' amore per l'Uomo, appunto giova all'azienda e alla società.

Essere emapatici è sicuramente impegnativo, perchè significa mettersi in gioco e andare in profondità [senza essere l'amicone]. Ma se il risultato mira ad una libertà consapevole e matura, ad una società dove l'individuo è predisposto ad essere proattivo per una causa comune, al di là dello stipendio e della performance individuale, forse vale la pena mettersi in gioco.



martedì 28 luglio 2009

Il dialetto non è integrazione!


Pare si voglia una scuola che sappia il dialetto!

Vorrei lasciar perdere i commenti e le polemiche che credo nel web si siano già sussegguiti [anzi ne ho la certezza!] per riflettere sul significato di una tale provocazione.

Mio padre ha frequentato una scuola che non gli parlava italiano, ma che attraverso compagni e insegnanti lo ha costretto a imparare il piemontese, anzi forse il torinese, per usarlo nella sua quotidianità ancora di più del suo originario dialetto guardiese.

Io sono cresciuta vergognandomi un po' se per strada i miei genitori usavano interiezioni dialettali che non fossero quelle della regione che ci ospita. [siamo immigrati, appunto!]
La scuola che ho frequentato io parlava esclusivamente italiano.

I ragazzi del fare della mia quotidianità orgogliosamente mescolano dialetto [di qualsiasi provenienza sia], italiano e slang.

Tra le nuove generazioni di insegnanti pochi usano il dialetto comunemente. E a me piace usare piccoli termini curiosi che sappiano arricchire l'italiano là dove non c'è una corrispondenza dell'italiano in grado di competere.

Vivo contaminata dall'Occitania, dal Patois e dal francese che per i Valdesi ha significato nei secoli Libertà.
Ma immersa in queste contaminazioni non ho mai colto inadeguatezza in nessun insegnante o collega che non conoscesse il dialetto [o il Patois, quasi impossibile da imparare se non si è indigeni].

No! la patente di insegnante non si prende con l'esame del Piemontese. Piuttosto ci sarebbe da scandalizzarsi non si conoscesse la storia della Resistenza [di cui tante pagine sono state scritte proprio in Piemonte], ma quella vivaddio fa parte della Storia dell'Italia intera! E' patrimonio comune, per cui nessuno può vantare il monopolio.

Il valore aggiunto per i ragazzi di una tale novità io non lo vedo!
L'amore per la propria terra, la storia del territorio e la ricchezza della cultura e tradizione locale non si construiscono con insegnanti obbligati a "contaminarsi", questa non è integrazione.
Così come una scuola che obbligava i propri studenti a non parlare italiano per potersi sentire parte del gruppo non integrava [era il singolo con le proprie abilità, attitudini e con la propria fibra che si adeguava ad un mondo che in fondo non lo voleva]

Perchè non proporre piuttosto strade alternative e innovative per cercare nuovi modelli di integrazione?




venerdì 24 luglio 2009

L'attualità di uno scritto del '53 riflessioni sulla Formazione Professionale


Per tornare un po' alla storia locale...

Insieme alle preziose carte ricevute qualche giorno fa, ho trovato un fascicolo artigianalmente costruito e dattiloscritto dal titolo L'Apprendistato e firmato da Giulio Cesare Borgna [ingegnere pinerolese e animatore della vita culturale cittadina del passato].

La presentazione è firmata dall'allora sindaco di Pinerolo Prof. Alcide Asvisio.

Si tratta di uno studio sulla formazione professionale e sui ragazzi a partire dall'esperienza del corso comunale di cui ho parlato nel post La formazione professionale in nuce

Ciò che mi ha colpita è l'attualità di quanto scritto, ma anche l'ingenuità con cui spesso Noi del nostro tempo cadiamo vittime dellle leggende e degli stereotipi del passato.

Borgna definisce malattie ormai croniche
il ridursi della mano d'opera specializzata, la decadenza dell'insegnamento e l'impoverimento delle botteghe artigiane e delle piccole industrie...

Siamo nel 1953!

Non sta a me rilevare le analogie con il presente, rischierei di banalizzare, ma la riflessione credo nasca spontanea per tutti.

Borgna dice ancora:
In Italia tutti sono concordi nell'affermare che la gioventù non ha più la preparazione professionale nè la passione per il lavoro delle generazioni passate, o per lo meno difetta di quella esigenza di capacità imposta dall'evoluzione della tecnica produttivistica moderna...

Fa sicuramente sorridere leggere queste parole: le stesse che gli adulti del Nostro presente ripetono salmodiando circa gli adulti di domani [qualcuno direbbe "i corsi e ricorsi"]


Borgna lamenta un'inadeguatezza dell'offerta: troppe scuole prive degli strumenti idonei, troppi allievi per un maestro solo e regole poco chiare da parte del legislatore.

E' cambiato qualcosa?

A pagina 5 della piccola pubblicazione una bella sorpresa:
L'istruzione professionale nella vita sociale ed economica del paese riveste un'importanza non inferiore a quella riguardante l'istruzione publica

Per essere onesti, attraverso un percorso tortuoso e a volte anche poco coerente, ci siamo ritrovati con delle piccole rivoluzioni a partire dalla L.53 per arrivare all'Obbligo di Istruzione.

Almeno nelle leggi e nei decreti c'è la volontà di dare pari dignità.

Ho sempre guardato al passato come un'isola felice per i ragazzi del fare, ho sempre creduto che in qualche modo la società li leggittimasse più di oggi a scegliere percorsi meno legati alla teoria.

Leggere Borgna mi ha dato una visione diversa e critica.

I giovani, i figli di genitori discretamente abbienti, appena dispongono di un po' d'intelligenza e di volontà possono aspirare al conseguimento di un diploma, perchè lo Stato non esita a procurargli gratuitamente professori, aule e materiale didattico. [...] I figli di genitori bisognosi, che desiderano solo essere aiutati per apprendere un buon mestiere, non trovano la stessa comprensione.


Per fortuna quest'ultima citazione corrisponde solo parzialmente a ciò che succede oggi.

Ma forse la questione può essere ribaltata: capita spesso che un ragazzino discretamente bravo alle scuole medie, che ha la passione per il fare venga distolto dalle intezioni dai propri insegnanti, che lo liquidano con un "ma sei sprecato!" [dimenticando le potenzialità della flessibilità dei percorsi e che un elettricista qualificato, potrebbe dignitosamente, con studio e impegno diventare ingegnere]

Oggi non è più un problema relativo alla classe sociale di appartenenza, ma è un problema di cultura!
Non c'è la cultura del fare, perchè ne stiamo perdendo il monopolio.

Borgna cita ripetutamente il suo maestro che è un artigiano, ma ne parla al plurale.
La nostra Italia ha perso il patrimonio degli artigiani e lo sta cedendo a Chi in Italia cerca la sopravvivenza. Questo sminuisce il valore dell'artigianato e di alcune professioni che si stanno perdendo irrimediabilmente.

La soluzione credo sia nel mettersi insieme! La scuola, la formazione professionale e le aziende, con un unico obiettivo indipendentemente dai ragazzi e le loro attitudini, rispettando l'esigenza e il diritto di ognuno di evolvere, crescere e torvare la propria strada.

Nella commissione formata per presiedere i corsi comunali e quindi anche nel pensiero di Borgna, l'dea dell'interazione dei diversi attori era viva e aveva trovato una sua realizzazione.

Non voglio credere che non sia possibile oggi.

Non voglio cedere alla tentazione di concordare con la frase di chiusura al capitolo "Perchè favorire la specializzazione professionale" dove il vecchio Borgna dice:
Tutte queste cose però si scrivono sulla carta e rimangono una speranza, come rimangono con la sola speranza le molte mamme che invocano con commovente insistenza la possibiltà di far apprendere un decoroso mestiere ai propri figli.

No! le mamme devono poter avere certezze...di pari dignità per i propri figli!
[suona demagogico, ma la penso cosi]

giovedì 23 luglio 2009

La scuola che boccia...non ha obiettivi



PENSARE AGLI OBIETTIVI DEI RAGAZZI...SENZA SMETTERE DI INSEGNARE

Io non leggo mai La Stampa...pur essendo piemontese, no, non lo faccio.
Ma ieri sfogliandola al bar ci trovo un interessante articolo di Umberto Veronesi, che mi ha piacevolemente sorpresa.

Sono d'accordo: una scuola che non si accorge cammin facendo che i propri ragazzi non son fatti per il percorso intrapreso è ua scuola che non funziona! Non funziona perchè non ha chiari gli obiettivi.

Un ministro che vanta una scuola rigorista non ha chiari gli obiettivi, ma soprattutto non conosce i protagonisti di quel mondo a cui dovrebbe rivolgersi.

Veronesi dice
Nel mondo di domani, ciò che conterà non sono gli strumenti di cui disporremo, ma le idee che avremo, vale a dire la capacità innovativa e creativa.


La capacità innovativa e creativa è già insita nei ragazzi, ma bisogna costruire quell'autostima che non è tipica dell'adolescente, affinchè tali capacità possano venire alla luce e creare qualcosa di tangibile e visibile.

Spesso i ragazzi hanno tante idee, anche potenzialmente buone. Ciò che sanno fare meno è un'analisi di fattibilità, razionalizzare le fantasie, affinchè possano diventare realtà.

La razionalizzazione è un processo complesso che ha bisogno di essere guidato.
Come dice Veronesi
La scuola dovrebbe essere l'ambiente privilegiato per motivare i giovani alla vita e fornire gli antidoti contro le fughe dalla realtà e il rifiuto del mondo adulto.


Ma se la scuola si fa rigore come può accogliere e aprire alla conoscenza consapevole?

Quello che a me interessa trasmettere ai ragazzi è il senso della vita, il perchè delle scelte, il saper identificare gli obiettivi appunto. Questa è conoscenza consapevole. Fatico a pensare che dietro a dati, numeri, concetti imparati, ma non digeriti ci possa essere consapevolezza.

Per imparare tecnicamente un mestiere c'è tempo: tutta la vita! per imparare a stare al mondo, no! per quello gli adolescenti non hanno tempo. [se poi pensiamo che quello che siamo lo siamo grazie ai primi tre-sei anni di vita, forse si è già in ritardo!]

Il vero obiettivo della scuola è quello di rendere autonomi, di fornire le basi per poter camminare da soli. Ma per fare questo le regole da sole non sono sufficienti...

Qui occorre pensare di nuovo a don Milani...

Occorre ripensare alla cura educativa, a partire dagli obiettivi; curarsi dei ragazzi significa curarsi della società futura, del mondo che verrà. Curarsi dei ragazzi significa accorgersi delle potenzialità che celano gli atteggiamenti provocatori e farli evolvere, curarsi di loro significa porsi delle domande e cercare le risposte insieme.

Una scuola che boccia perchè quella è la regola è una scuola autoreferenziale che non cresce e non fa crescere.

Una scuola che orienta e indica la strada migliore a seconda delle caratteristiche dei ragazzi è una scuola che costruisce. e che si prende cura degli obiettivi dei singoli.

Certo tutto questo deve avvenire senza smettere di insegnare...




mercoledì 22 luglio 2009

La Formazione Professionale in nuce...anzi comunale!


Nel 1952 a Pinerolo succedeva così!





Grazie a Federico Ferro della Società Mutua Pinerolese sono venuta in possesso di alcuni interessanti documenti sulla formazione professionale pinerolese degli anni '50.

Il 29 dicembre del 1952 presso la sala consigliare di Pinerolo si teneva una "pubblica riunione per spiegare ai Sig. Artigiani [...] le finalità e gli scopi del Corso".

E' interessante sfogliare l'intera documentazione che ne reggeva l'organizzazione.

Si trattava di un "CORSO COMUNALE TECNICO PRATICO per l'addestramento professionale dei giovani", presieduto quindi da una Commissione di Controllo della Scuola. La commissione era composta rispettivamente da un rappresentante del Comune di Pinerolo, dell'Ispettorato del Lavoro, dell'Ufficio Regionale del Lavoro, di ciascuna delle Organizzazioni Sindacali e dall'Associazione degli Artigiani contraenti l'accordo, dal Rappresentante Associazione Industriali e della Direzione ONARMO.

Tutti gli attori si erano messi insieme per stabilire le regole.

Il corso [comunale] rispondeva al bando del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale- direzione generale occupazione Interna e migrazione che in oggetto citava:
Istituzione funzionamento di corsi per l'addestramento professionale dei lavoratori disoccupati e in soprannumero e degli apprendisti artigiani.

Ciò che mi ha colpito è come le linee guida proposte nel documento [polveroso] siano molto simili nella sostanza ai bandi odierni. Tanto da sembrare quasi una premessa ai parametri del sistema di Accreditamento.

Le linee guida sono molto puntuali, tanto da entrare nel merito della gestione economica, fino a stabilire il compenso mensile del direttore che è di £. 10.000 per la direzione di un corso, di £.14.000 per due, di £.16.000 per tre o più corsi.

Purtroppo sono poche le informazioni reperibili rispetto alla didattica, se non il riferimento al punto 36, in cui si scrive:
il Direttore del corso può sospendere gli allievi che si rendono indisciplinati e negligenti e che siano ripetutamente assenti dalle lezioni senza giustificato motivo, proponendo successivamente la radiazione dell' Ufficio stesso, sulle proposte di radiazione decide in via definitiva e ne determina la decorrenza, ordinando all'I.N.P.S. di non corrispondere più agli allievi radiati il sussidio straordinario di disoccupazione.


Il monito severo e forse anche eccessivo è giustificato dall'epoca, in cui la formazione professionale era intesa come addestramento e non tanto come come educazione. All' epoca il nemico da contrastare era davvero solo il rischio di disoccupazione, che tuttavia era più un fantasma [l'Italia si apprestava ad accogliere il boom economico].

Oggi le azioni sono volte a combattere la dispersione scolastica, con tutti gli anessi e connessi.

Nel '52 gli allievi da integrare erano i terroni, oggi sono gli stranieri e i drop out.

Nel '52 i problemi relazionali erano tra i ragazzi di campagna e quelli di città, tra i meridionali e i piemontesi [che accoglievano i coetanei del sud parlando loro solo ed esclusivamente in dialetto]; oggi c'è il bullismo, c'è la paura dello straniero e tanto altro che complica e che distoglie dall'obiettivo lavoro., che non è più l'unico punto di approdo.


una classe dell'ONARMO di Pinerolo completa di inseganti

Nei documenti del '52 leggo una volontà di formare la classe operaia per il territorio, oggi si guarda all'Europa.
Lo abbiamo già detto...
Non ci si può esimere dalla corsa verso gli obiettivi di Lisbona.
Tuttavia mi chiedo quanto abbiano perso i percorsi formativi riducendo la partecipazione territoriale.

Trovo tra le preziose carte anche una nota integrativa in cui vengono sottoscritte delle regole di comportamento dai vari artigiani [vengono chiamati così i formatori] ai quali sono asegnati gli allievi
Gli artigiani e gli industriali nei cui laboratori saranno impartite lezioni pratiche, dovranno rispettare le esigenze fisiche e morali degli allievi, richiedendone esclusivamente prestazioni che servano alla preparazione del mestiere, ed assumendosi a loro completo carico le spese del materiale, dell'energia elettrica e consumo macchinario, ed ogni altra derivante dall'insegnamento agli allievi. Ogni infrazione a quanto sopra provocherà l'immediata cessazione dello svolgimento delle lezioni pratiche presso l'azienda interessata.

Sì, abbiamo letto bene...quello che per la formazione professionale moderna è lo stage [quindi un'attività straordinaria], al tempo costituiva la normale attività formativa.

Le lezioni erano di 8 ore per abituare i ragazzi alla giornata lavorativa e di 36 ore settimanali.
Era previsto un trattamento economico per gli allievi. [Ormai andato perduto quasi per tutti i target di utenza, ahimè!]

Le lezioni teoriche prevedevano l'insegnamento di disegno, tecnologia, geometria, merceologia oltre a quello delle materie che saranno tenute necessarie a seconda dei vari Maestri.

I maestri-formatori avevano una buona autonomia didattica radicata sul principio del lavoro e delle regole che lo governano. Le metodologie didattiche spesso sorgevano dal buon senso, dall'esperienza e dalle necessità quotidiane [come banalmente spedire una lettera al proprio insegnante].

Le competenze trasversali non erano sicuramente teorizzate e dichiarate in progetti, ma si trasmettevano grazie al carisma degli artigiani.
In quell'invito [che suona come monito] al rispetto delle esigenze fisiche e morali degli allievi io ci leggo la cura di don Milani.

Nei verbali della Commissione di Controllo della Scuola leggo entusiasmo e amore per il territorio, desiderio di dare professionalità alle proprie aziende, ma soprattutto leggo il substrato della Formazione Porfessionale che viviamo oggi.
Questo mi ha davvero sorpresa!

domenica 19 luglio 2009

[una premessa ] Vorrei una donna saldocarpentiere [2]


In risposta al post Vorrei una donna saldocarpentiere Giuseppe mi manda questa interessante analisi.
Il punto di vista è quello della tradizione protestante.
Mi piace dare voce alle diverse diversità, per questa ragione, nonostante la timidezza dell'autore, ho deciso di pubblicare le pagine che generosamente mi ha inviato via mail.

[Inoltre per chi non lo sapesse le valli pinerolesi sono di tradizione valdese, quindi è anche il campanilismo che mi spinge...]

Cara Lia,

il riferimento finale alla Danimarca mi ha dato da pensare. Possibile che per gli italiani sia così difficile vedere quando le varianti nel modo di concepire la fede hanno conseguenze culturali e sociali di grande portata? Perché la Danimarca è così? Perché lo sono la Svezia, la Germania, l’Olanda, la Norvegia, gli Stati Uniti, la Svizzera, la Finlandia, ecc.? E’ semplice. Perché si tratta di paesi in larga misura protestanti o influenzati dalla comprensione protestante della fede cristiana.



Vorrei perciò dire due cose – da protestante – sul modo in cui il ruolo delle donne è stato interpretato dal Protestantesimo.


UNA PREMESSA NECESSARIA


Per farlo, è utile qualche semplice premessa teologica. Nessuno si spaventi. Si vedrà subito che un paio di presupposti servono per capire “perché” i protestanti, nella storia, hanno fatto alcune cose e non altre.


Ogni tanto sento dire, anche da persone qualificate che vogliono giustificare il fatto che in alcune chiese cristiane le donne non sono ministre di culto, che se Gesù avesse voluto una Chiesa di quel tipo non avrebbe scelto i dodici apostoli solo tra i maschi. Si tratta di un’interpretazione discutibilissima dei passi dei Vangeli che ne parlano. Oggi la gran parte degli esegeti concorda sul punto che in realtà il riferimento ai dodici apostoli ed alla loro missione è un riflesso della tradizionale suddivisione d’Israele nelle dodici tribù del Pentateuco.

L’idea di chi ha redatto i racconti è che i dodici apostoli della “prima cerchia” di Gesù fossero destinati a diffondere l’insegnamento del Messia comunque all’interno d’Israele, non fuori di esso. Era inconcepibile che questi rappresentanti simbolici delle tribù non fossero maschi.

Questi racconti, in altri termini, non possono essere proiettati “in avanti”, verso la storia della Chiesa. Devono essere letti “all’indietro”, in stretto rapporto con la Bibbia ebraica, cioè con quello che noi cristiani chiamiamo Antico Testamento.

Non possono essere considerati in alcun modo discriminanti per un ministero delle donne nelle chiese cristiane. Anzi, questo legame di Gesù con la Bibbia ebraica è oggi un fondamento per la lettura protestante della Bibbia.


Ad ogni modo, chi avesse voglia di capire che cosa facevano le donne nelle chiese delle origini cristiane potrebbe rileggere diverse parti degli Atti degli Apostoli. Ne riscoprirebbe il carattere illuminante.


XVI SECOLO: COSA DICE LA RIFORMA


Ma veniamo alla svolta fondamentale: l’esplosione della Riforma nei primi decenni del XVI secolo. Anche qui bisogna avere presenti almeno alcune cose dal punto di vista teologico.


1) Prima cosa centrale che fu affermata è che il culto cristiano non ha carattere sacrificale. La Cena del Signore, come la chiama la Scrittura, non è la “ripetizione” di un sacrificio che si è compiuto una volta per sempre sulla croce. Non è un “sacrificio” nemmeno in senso simbolico. E’ una mensa comune cui ci invita Gesù in modo diretto, senza mediazioni, nutrendoci lui di persona.


2) In questo senso – ed è questo il secondo punto – Gesù è stato l’ultimo vero “sacerdote”. Con lui il sacerdozio (il “prete”) è stato abolito, perché l’umanità non ha più bisogno di altari e di mediatori autorizzati. Il clero e la gerarchia, con Gesù Cristo, hanno concluso la loro funzione nella storia della salvezza e nelle chiese sono sostituiti da persone che svolgono soltanto funzioni di vario genere, pastori inclusi. Al riguardo, nel 1520, nell’”Appello alla nobiltà cristiana di lingua tedesca”, Lutero proclamò il principio del sacerdozio universale di uomini e donne, cioè di quel “regno di sacerdoti” di cui parla la Scrittura e che dopo Gesù coinvolge, con gli stessi titoli, tutti e tutte e che comprende la vita intera delle persone. Non esiste più nessuna separazione tra vita “secolare” e “sacro”, giacché tutta l’esistenza (lavorativa, affettiva, il tempo libero, il sesso, la famiglia, il denaro) è volta a Gesù e si svolge interamente nella libertà che dobbiamo alla sua opera che ci ha salvati dalla condizione mortale nella quale giaciamo.


3) A queste affermazioni di principio circa l’eguaglianza cristiana di uomini e donne e della necessità di una Chiesa senza sacerdoti si aggiunse la profonda modificazione del sistema dei sacramenti. Da sette, com’erano diventati via via nel sistema intricatissimo costruito nel Medioevo, si tornò ai due originali, ossia a quelli che hanno davvero una specificità cristiana (il battesimo e la Cena del Signore) e che sono stati istituiti in modo diretto da Gesù. Quel che qui c’interessa di più, è che dal XVI secolo per noi protestanti il matrimonio, che pure è un’unione benedetta da Dio, non ha più rilievo di sacramento. Il divorzio, perciò, cominciò già quasi cinquecento anni fa a comparire negli ordinamenti dei paesi che aderivano alla Riforma. Non tarderete a capire le conseguenze pratiche per le donne di una novità del genere!


4) La Riforma protestante ha messo al centro, come fonte prevalente della rivelazione cristiana, una cosa sola. La Bibbia. Scomparso il sistema del clero, chiusi i monasteri, abolite indulgenze, purgatorio, devozioni, litanie, candele, statue, opere religiose, il culto mariano, quello dei santi, dei morti, il diritto canonico, ecc. ecc., il cuore della vita spirituale del protestante è da cinquecento anni la Bibbia.

Ora, dato che non c’è più nessuno autorizzato per status speciale a leggertela, visto che è stata tradotta dagli originali nella tua lingua locale e che “tutto” quello che ti serve come cristiano è lì, ne consegue che – uomo e (soprattutto) donna che tu sia - il tuo dovere è… leggerla. Studiarla, lavorarci sopra, rielaborarla.

E per fare tutte queste cose, affatto semplici, devi essere alfabetizzato, e nemmeno ad un livello così elementare. Uomo e donna. Tutti, senza eccezione alcuna. Nel 1541 Lutero annuncia ai principi tedeschi la necessità dell’istruzione obbligatoria delle donne. Proclama le gioie della vita di coppia come CRISTIANAMENTE superiori a quelle del monaco medievale. Il percorso per la realizzazione delle cose proclamate a parole sarà lunga, ma la strada verso la parità concreta era spianata.


LE CONSEGUENZE


Nei paesi protestanti il tasso d’alfabetizzazione iniziò subito ad alzarsi. L’istruzione superiore diventò in modo abbastanza rapido qualcosa alla portata delle classi piccolo-borghesi.

Le università dei paesi anglosassoni si moltiplicarono ed acquistarono supremazia mondiale. L’Università di Harvard, ad esempio, fu fondata da un pastore riformato, e ne porta il nome…

Le donne godettero anche loro di questi sviluppi.

Al momento dell’unità nazionale italiana (1861), le donne valdesi che nelle povere valli in cui fino a poco prima erano state confinate nell’apartheid esso era pari a circa il 60%.

Nel resto del Piemonte, invece, in specie al di fuori delle città le donne analfabete erano pressoché la regola.


Si pensi che cosa sarebbe stato della storia italiana se quello che sul piano culturale accadde alle valdesi fosse stato l’andamento generale.


Conseguenza quasi lineare dell’istruzione femminile elevata nei paesi in cui da secoli era buona norma leggere la Bibbia fu l’estensione del suffragio elettorale alle donne.

Nuova Zelanda 1893, Australia 1902, Finlandia 1906, Norvegia 1913, Danimarca e Islanda 1915, Canada 1917, Gran Bretagna 1918, Svezia e Olanda 1919, Stati Uniti 1920…


IL PASTORATO DELLE DONNE


Come prevedibile, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Di fatto, ci vollero secoli perché le affermazioni di principio si trasformassero in realtà.

Anzi, per certi versi all’inizio si creò una situazione paradossale. Nell’Europa meridionale, rimasta cattolica, almeno le donne che si votavano alla separazione dal mondo secolare, che il Protestantesimo rifiuta, avevano mantenuto il ruolo, seppur subordinato, degli ordini religiosi. Dove la Riforma prevalse, invece, si creò una specie di vuoto che si faticò a colmare.

Il sacerdozio universale era affermato, ma alle donne fra il ‘500 ed il ‘700 era – di fatto – impedito o quasi di predicare l’Evangelo dai pulpiti. Vi furono certo parecchi eccezioni: bellissimo resta l’esempio della predicatrice quacchera inglese Margaret Fell, che nel 1665 scrisse “Il diritto delle donne a predicare”, o quello della predicatrice puritana americana Anne Hutchinson, che iniziò la sua attività nel 1634.


Ma le resistenze culturali erano fortissime. La prima donna pastora fu consacrata (nel Protestantesimo non esiste il concetto di “ordinazione”, appunto perché non ci sono sacerdoti) nel 1853 in una chiesa congrezionalista americana. Si chiamava Antoinette Brown Blackwell.



Dopo la Seconda Guerra Mondiale il pastorato femminile nelle chiese protestanti è diventato la regola.

Nella chiesa di cui faccio parte, quella valdese, la prima pastora è stata consacrata nel 1967, ed oggi circa un terzo dei pastori delle piccole chiese protestanti italiane sono donne ed anzi, a presiedere (ovviamente i protestanti non hanno gerarchia) alcune di esse, cioè le federazioni ed unioni di quelle valdesi e metodiste, battiste e luterane ci sono donne.


Non staremo esagerando?!


Per finire: lo scopo di questa nota è quello di far assaggiare a qualcuno che leggerà l’idea, poco usuale per gli italiani, della molteplicità delle espressioni delle chiese cristiane.


Poi, c’è anche il desiderio di far scorgere la sensazione che la fede religiosa è motore di cambiamento sociale e che può essere generatrice di vita concreta. Concretissima.


Tutto può essere, la fede, meno che un elemento del panorama, che uno si ritrova alla nascita, come i monti, la pioggia, il governo o le tasse.


Il mondo è complicato, e il giardino del cristianesimo ricco di fiori più profumati di quanto non possa sembrare!