martedì 30 giugno 2020

L'educazione è cosa del cuore

Nel corso del tempo ho provato a raccontare in diverse maniere che c'è un mondo quasi sconosciuto, ma un mondo direi necessario. 
Lo so che state per dire: eccola qui, la solita storia, la solita fissa, adesso ci parla dei ragazzi del fare

Fuocherello! 



Vi parlo di chi quotidianamente a questi ragazzi dedica le proprie lezioni, di chi ha deciso che la cura è didattica e l'alternativa la pedagogia. 
I miei colleghi e le mie colleghe sono maestri e maestre nel prendere le strade più amene, quelle che sono state abbandonate in virtù delle tangenziali, quelle che continuano a passare nei villaggi di montagna e nelle frazioni di campagna. 

E' di loro che oggi voglio parlare: i formatori. 

I formatori e le formatrici sono quelli che hanno rinunciato a una identità riconosciuta dalla società, preferendo le smorfie dei parenti e conoscenti che alla domanda che mestiere fai, la risposta non la comprendono. E quando all'ennesimo tentativo capiscono che non sono nemmeno dipendenti di scuole private, gettano la spugna, sintetizzando che tanto non sono insegnanti. 

Ecco parliamo del loro mestiere. 

In questi mesi si sono trovati a reinventare una professione che di identità ne ha mille, ma di strumenti apparentemente uno solo: la relazione. 
In questo lungo periodo di formazione a distanza la relazione è stata faticosissima per tutti, ma per chi è abituato al fare, per chi è abituato a interpretare il linguaggio non  verbale per poter comprendere meglio non detti e vissuti, è stato il pensiero fisso quotidiano. 

La didattica on line è stata bersagliata di critiche e abbiamo sentito ripetere che non è scuola. Io capovolgo l'approccio: la scuola non può essere solo quella a distanza e  un pc non sostituisce il laboratorio. I ragazzi del fare lo sanno bene e da subito si è sentita l'urgenza di trovare un modo per fornire loro strumenti e metodi nuovi. Quello che è successo non è davvero la formazione professionale come deve essere e come i ragazzi se l'aspettavano quando hanno scelto il fare, ma sicuramente potrà diventare quel quid che può sostanziare quel fare cosi prezioso. 

I miei colleghi hanno saputo inventare e riprodursi in ruoli e metodi che nessuno prima ci aveva insegnato. Per dirla meglio, non eravamo stati preparati se non alla cattedra, al laboratorio, consapevoli che più che  in un registro o in un libro la nostra forza è racchiusa nell'empatia. 
E' stata proprio l'empatia e la voglia di arrivare ad ognuno dei nostri ragazzi a darci la forza di superare la fatica di una didattica che non avrebbe mai soddisfatto i nostri desideri, le nostre convinzioni e i bisogni degli allievi. 

Questa esperienza di tempo sospeso è qualcosa che resterà impressa nei nostri ricordi, come un tatuaggio e sarà difficile tornare al prima. Tutto del futuro che ci aspetta subirà il confronto con il prima. Un prima che non era perfetto, ma che a noi ora sembra persino da esempio, un riferimento per ritrovare una sperata normalità; ma forse la normalità assumerà significati nuovi, diversi e al momento imprevedibili. La formazione professionale ha sempre saputo adattarsi a storie e convenzioni nuove, perché la politica le ha sempre giocato qualche scherzo. 

A volte mi sorprendo a pensare alle gite di classe come esperienze troppo lontane per essere replicabili e mi chiedo come potranno sopravvivere degli studenti che spesso certe esperienze le vivono solo grazie alla scuola. Poi mi dico che i miei colleghi sono talmente speciali che riusciranno a inventare un mondo formativo nuovo, perché in emergenza hanno fatto quasi miracoli. Un po' a modo loro sono stati degli eroi: hanno contenuto ansie, controllato distanze e accompagnato dispersi. Hanno continuato a far sentire dei ragazzini distanziati e soli parte di un gruppo, ogni giorno, nonostante difficoltà tecniche e psicologiche, nonostante frustrazioni e impotenze. 

Si è parlato tanto di scuola, di rientro e di assenza delle politiche scolastiche, ma mai, e quando dico mai c'è in me la volontà di assolutizzare il concetto, si è menzionata la formazione professionale. Non si pensa che tra gli adolescenti c'è una buona fetta che ha indirizzato i propri interessi verso delle professioni  e per impararle studia, frequenta, si rapporta con insegnanti e professionisti. Questa a mio avviso è una grave mancanza, perché è come se un corpo non si accorgesse di una sua parte, come se un braccio non sapesse di avere la mano.  Una comunità non può fare a meno degli artigiani, proprio per questo una comunità che non riconosce il giusto ruolo a chi questi artigiani forma è monca. 

I formatori provano a costruire autostime distrutte o inconsce, attraverso ponti di cultura e saperi e gli allievi, attraverso un mutuo gioco di fiducia restituiscono consapevolezza che li accompagna verso l'età adulta. E' un processo che mi affascina ogni anno, ogni volta che saluto un ragazzo o una ragazza al termine del suo colloquio di esame. Una esperienza che lascia il segno ogni volta in modo diverso, unico e irripetibile, perché unico e irripetibile è l'essere umano e l'alchimia che crea nella mescolanza delle esperienze. Eppure mi attraversa allo stesso tempo la frustrazione di non saperlo dire al mondo nel modo giusto, di non saper riconoscere a questa fetta di giovani donne e giovani uomini la giusta importanza. 


Forse aveva ragione don Bosco a dire che l'educazione è cosa del cuore



venerdì 19 giugno 2020

In bocca al lupo ragazzi!



Avreste dovuto cucinare, mescere, accogliere.

Per anni vi abbiamo riempito la testa di informazioni utili a sostenere una settimana d'esame [che manco la maturità!]; un esame percepito lungo una vita, per voi che amate il fare.

Mi ritrovo a cercare le parole per dirvi che ci saremo come sempre ci siamo stati, ma questa volta le parole giuste non le trovo. Mi manca tutto.

Mi mancheranno gli sguardi di sottecchi mentre la commissione passa in cucina, mi mancheranno i movimenti controllati di quando fate accomodare gli ospiti a tavola, mi mancherà la faccia compiaciuta con il vostro piatto decorato tra le mani.
Mi mancherà sentirvi recitare le etichette dei vini che state per servire e l'intonazione maccheronica di un discorso in lingua straniera.
Sentirò la mancanza di quel groppo in gola che vi fa apparire meno sicuri e spavaldi del solito e che a noi formatori fa dimenticare le arrabbiature passate.

La mancanza è stato il "sentire" che ci ha abitato di più negli ultimi mesi.

Abbiamo pensato a tutti i nostri ragazzi, uno per uno, ma a voi che state per fare l'esame un po' di più. 
Vi si sta togliendo l'esperienza per la quale avete lavorato dal primo giorno in cui avete messo piede in laboratorio, i giorni che vi abbiamo fatto sospirare come la resa dei conti, la somma di tutti i sorrisi e le lacrime, l'impegno e la pigrizia.

Abbiamo trovato insieme un modo nuovo per fare didattica, anche un po' divertente forse, e grazie a voi che siete stati tanto generosi da non tirarvi mai indietro a ogni proposta strampalata, chi verrà dopo  troverà probabilmente un po' di fluidità in più. 
E' stata una didattica strana, nuova, di cui sicuramente salveremo qualcosa; il prossimo anno potremo invitarvi come special guest nelle classi prime per mostrare dal vivo quello che sapete fare e indicare loro quale sia la strada. 

Vi siete trasformati, siete cresciuti e la resilienza è diventata la vostra sostanza. Chi era pigro ha provato a stringere i tempi della sua pigrizia, chi era ombroso ha provato a essere sorridente e chi era permaloso ha trovato un po' di autoironia, perché la distanza ha il pregio di tenere a bada l'impulso. I creativi sono diventati ancora più ricchi di colori e i precisi ci hanno dato tante soddisfazioni.

Tanti di voi sono pronti per andare in tv a forza di video ricette e presentazioni multimediali!

Ci resterà il cruccio di non avervi visto abbastanza, nascosti in quella vergogna adolescenziale che "la telecamera è rotta prof". Così da lunedì correremo il rischio di trovarvi diversi: uomini e donne a cui questi mesi hanno lasciato il segno.
Forse non vi riconosceremo, o forse si, perché in questi mesi ci avete detto tanto di voi, ognuno a modo suo, ognuno con le sue particolarità, ognuno con i suoi silenzi.

Questa esperienza così paradossale vi ha tolto tutto della scuola, perchè per voi scuola non significa "libri", ma "mani". E le mani ve le hanno imbrigliate, vi hanno accomunato a tutti gli altri studenti, senza considerare che una professione si impara provandola, agendola.
Ma vi siete adattati e adesso state arrivando alla meta. Una meta che sa di scorciatoia per qualcuno, perché privato anche dello stage, il momento più sospirato di tutto il percorso. Questo è un altro dei nostri crucci: non essere riusciti a proteggervi abbastanza. Ma un'emergenza è un'emergenza e non potevamo prevederlo, nonostante tutti i discorsi sul non rimandare a domani quel che puoi fare oggi con cui vi abbiamo annoiato. Mannaggia anche i prof. sbagliano! e anche noi ci siamo fatti trovare impreparati, ma abbiamo imparato tantissimo

Una promessa ve la voglio fare: mi impegnerò al massimo per dire a tutti quanto lavoro c'è dietro un bancone del bar, quante lacrime a volte si nascondono nelle cucine e quante suole delle scarpe si consumano in una sala di ristorante. Quanta professionalità in un mestiere fatto per farci stare bene, per regalarci attimi di leggerezza che in questi mesi ci sono mancati così tanto. 

Cercate di non mortificare i vostri talenti, accuditeli e fateli diventare vocazione. E' la vocazione che fa la differenza e che vi renderà indispensabili agli altri. 

In bocca al lupo ragazzi!

La Bianco

Immagine https://www.nanopress.it/cultura/2015/11/02/perche-si-dice-in-bocca-al-lupo-e-si-risponde-crepi-il-lupo/96687/