Pare si voglia una scuola che sappia il dialetto!
Vorrei lasciar perdere i commenti e le polemiche che credo nel web si siano già sussegguiti [anzi ne ho la certezza!] per riflettere sul significato di una tale provocazione.
Mio padre ha frequentato una scuola che non gli parlava italiano, ma che attraverso compagni e insegnanti lo ha costretto a imparare il piemontese, anzi forse il torinese, per usarlo nella sua quotidianità ancora di più del suo originario dialetto guardiese.
Io sono cresciuta vergognandomi un po' se per strada i miei genitori usavano interiezioni dialettali che non fossero quelle della regione che ci ospita. [siamo immigrati, appunto!]
La scuola che ho frequentato io parlava esclusivamente italiano.
I ragazzi del fare della mia quotidianità orgogliosamente mescolano dialetto [di qualsiasi provenienza sia], italiano e slang.
Tra le nuove generazioni di insegnanti pochi usano il dialetto comunemente. E a me piace usare piccoli termini curiosi che sappiano arricchire l'italiano là dove non c'è una corrispondenza dell'italiano in grado di competere.
Vivo contaminata dall'Occitania, dal Patois e dal francese che per i Valdesi ha significato nei secoli Libertà.
Ma immersa in queste contaminazioni non ho mai colto inadeguatezza in nessun insegnante o collega che non conoscesse il dialetto [o il Patois, quasi impossibile da imparare se non si è indigeni].
No! la patente di insegnante non si prende con l'esame del Piemontese. Piuttosto ci sarebbe da scandalizzarsi non si conoscesse la storia della Resistenza [di cui tante pagine sono state scritte proprio in Piemonte], ma quella vivaddio fa parte della Storia dell'Italia intera! E' patrimonio comune, per cui nessuno può vantare il monopolio.
Il valore aggiunto per i ragazzi di una tale novità io non lo vedo!
L'amore per la propria terra, la storia del territorio e la ricchezza della cultura e tradizione locale non si construiscono con insegnanti obbligati a "contaminarsi", questa non è integrazione.
Così come una scuola che obbligava i propri studenti a non parlare italiano per potersi sentire parte del gruppo non integrava [era il singolo con le proprie abilità, attitudini e con la propria fibra che si adeguava ad un mondo che in fondo non lo voleva]
Perchè non proporre piuttosto strade alternative e innovative per cercare nuovi modelli di integrazione?
Vorrei lasciar perdere i commenti e le polemiche che credo nel web si siano già sussegguiti [anzi ne ho la certezza!] per riflettere sul significato di una tale provocazione.
Mio padre ha frequentato una scuola che non gli parlava italiano, ma che attraverso compagni e insegnanti lo ha costretto a imparare il piemontese, anzi forse il torinese, per usarlo nella sua quotidianità ancora di più del suo originario dialetto guardiese.
Io sono cresciuta vergognandomi un po' se per strada i miei genitori usavano interiezioni dialettali che non fossero quelle della regione che ci ospita. [siamo immigrati, appunto!]
La scuola che ho frequentato io parlava esclusivamente italiano.
I ragazzi del fare della mia quotidianità orgogliosamente mescolano dialetto [di qualsiasi provenienza sia], italiano e slang.
Tra le nuove generazioni di insegnanti pochi usano il dialetto comunemente. E a me piace usare piccoli termini curiosi che sappiano arricchire l'italiano là dove non c'è una corrispondenza dell'italiano in grado di competere.
Vivo contaminata dall'Occitania, dal Patois e dal francese che per i Valdesi ha significato nei secoli Libertà.
Ma immersa in queste contaminazioni non ho mai colto inadeguatezza in nessun insegnante o collega che non conoscesse il dialetto [o il Patois, quasi impossibile da imparare se non si è indigeni].
No! la patente di insegnante non si prende con l'esame del Piemontese. Piuttosto ci sarebbe da scandalizzarsi non si conoscesse la storia della Resistenza [di cui tante pagine sono state scritte proprio in Piemonte], ma quella vivaddio fa parte della Storia dell'Italia intera! E' patrimonio comune, per cui nessuno può vantare il monopolio.
Il valore aggiunto per i ragazzi di una tale novità io non lo vedo!
L'amore per la propria terra, la storia del territorio e la ricchezza della cultura e tradizione locale non si construiscono con insegnanti obbligati a "contaminarsi", questa non è integrazione.
Così come una scuola che obbligava i propri studenti a non parlare italiano per potersi sentire parte del gruppo non integrava [era il singolo con le proprie abilità, attitudini e con la propria fibra che si adeguava ad un mondo che in fondo non lo voleva]
Perchè non proporre piuttosto strade alternative e innovative per cercare nuovi modelli di integrazione?
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