martedì 3 marzo 2020

Ci siamo ammalati tutti

Abbiamo vissuto una settimana strana in cui alcune certezze ci hanno guidato nelle cose importanti della quotidianità: la scuola, il lavoro, la spesa, il tempo libero, lo sport. Tutti siamo stati guidati dal male del nostro tempo, la tuttologia nella sua specialistica branca del pressapochismo.

Ci siamo ammalati tutti. Chi di superficialità, chi di ipocondria, chi di smania di notizia ( nel doppio senso dal volerla cercare al volerla dare).
Ci siamo ammalati di individualismo e di diffidenza. 

È stato detto tutto e il contrario di tutto senza lasciare diritto di replica alla coerenza. Tanto da chiudere alcuni settori della vita pubblica, ma lasciarne altri completamente alla mercé del non detto. 
Cosi le scuole pubbliche hanno chiuso le porte a studenti e personale, ma la formazione professionale, che sempre di apprendimento si occupa, le porte le ha aperte solo al personale. ( che poi un contesto formativo senza allievi di fatto non perde il suo senso più profondo?)
Le palestre comunali si sono fermate, ma quelle private hanno compiuto la loro missione (come se i flagelli riconoscessero le tipologie di utenze)
Per non parlare delle corse nei centri commerciali, perché lo sanno tutti essere luoghi sterili, a riempire carrelli della spesa di roba che nemmeno in guerra ti mangeresti.
Ci siamo anche dimenticati delle Paure degli altri: improvvisamente sono sparite le guerre, i tiranni e le ingiustizie che ci hanno scaldato l'inverno. 

Eppure è successa una specie di magia: finalmente persino l'operoso nord si è dovuto fermare. Per paradosso proprio chi "la neve alta un metro, ma le scuole aperte, perché io devo lavorare,  mica sono del sud " ha dovuto suo malgrado accettare e adattarsi. Prima con atteggiamento spavaldo e temerario, sprezzante di un pericolo che nel profondo si crede inesistente. Poi, quando il pericolo si è fatto più vicino, più concreto allora è partita la corsa all'amuchina, alle mascherine, alla spasmodica ricerca di dati statistici, che nella migliore delle ipotesi non si sa come interpretare

Nemmeno in questa occasione si è stati capaci di rallentare, di sospenderci. 
Si è guardata l'economia, prima ancora che la salute, in una visione miope che non tiene conto di quanto un sistema di sanità malato possa irrimediabilmente pesare sull'economia globale. 

Poteva essere un momento prezioso per recuperarsi come genitori, come figli, come coppia e perché no...come azienda. Nei momenti di difficoltà ricentrarsi serve per andare oltre, per trovare nuove strade, per fissare nuovi obiettivi, trovare stimoli creativi innovativi. 

Abbiamo scoperto con un bel po' di ritardo che il telelavoro funziona e che no, i lavoratori quando responsabilizzati e fidelizzati non ne approfittano, producono e si spronano. Tuttavia sono stati pochi a poter usufruire di questo servizio, perché le aziende non sono tecnicamente pronte, perché i datori di lavoro non lo sono psicologicamente. 

Eppure il paradosso è che il cittadino medio è iperconnesso nella sua quotidianità, a prescindere dal suo ruolo e dalle sue reali necessità professionali. Cosi che le notizie in questi giorni non avevano tempo di trovare il proprio pubblico, che quelle successive erano già distribuite. Ecco che tutti si sentono autorità. 

Si chiama Covid 19 questa volta, ma per me è accidentale, perché quanto sta accadendo potrebbe delinearsi in altri fenomeni. 
Mentre scrivo non ho un'idea chiara del percorso che farà questa storia, oltre i giorni persi di scuola e i ristoranti vuoti,; ma se la coltre di smog è diminuita a causa della peste del 2020, forse possiamo guardare i dati di questi giorni con un punto di vista nuovo.

Se abbiamo il coraggio di abbandonare le nostre certezze e i nostri paradigmi di egocentrati, forse si sarà più resilienti e capaci di non sprecare le occasioni per riappropriarsi della nostra Umanità, anche nella sua accezione di semplicità.







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