In questi giorni l'attenzione è puntata sulla bravura degli insegnanti ad adattarsi all'emergenza. Tanti occhi sono puntati sulla Scuola, come se improvvisamente ci si fosse accorti dell'importanza che quest'istituzione potrebbe avere in una società. [Il condizionale non è da distrazione.]
I segni che distinguono la professionalità di un docente non sono dati dalla capacità di accogliere i propri studenti in un tempo diverso dal prima, ma da quanto ci si sappia adeguare alla didattica a distanza. Si è dei bravi insegnanti perché si sanno scegliere saperi da pubblicare e piattaforme da abitare, in uno spazio che è metaforico, ma tanto reale quanto pressante. La bravura dei docenti non sta nel saper riconoscere i bisogni dei suoi ragazzi, ma nell'abilità che dimostrano nel trasformarsi in divulgatori, affinchè a chiunque sia resa riconoscibile l'evoluzione del ruolo [non l'autorevolezza], la prontezza nel curare contenuti secondo modelli nuovi. Curare contenuti: il buon Don Milani vorrebbe questo verbo scritto con la maiuscola, ma la Cura chiede vicinanza. La definizione della didattica a distanza è precisa, antitetica alla vicinanza che reclama il linguaggio non verbale, l'arma che rende il mestiere dell'insegnante così prossimo a quello dell'attore, quello stesso linguaggio che ti fa entrare nei cuori, prima ancora che nei cervelli, permettendo ai discenti di innamorarsi del sapere, grazie alla capacità di stare in aula come mai nessun altro allieva avevo incontrato prima.
La Cura ti guarda negli occhi, cerca le ombre. La Cura sa riconoscere gli ultimi, i distratti, quelli sul pezzo e le eccellenze, che a dirla tutta, qualche volta possono confondersi con le disabilità. La Cura porta alla meta tutti, ma non in egual misura e con gli stessi mezzi. Tutti vincono.
Invece in questa corsa stiamo perdendo tutti. Gli insegnanti perdono il mestiere, nel reale pericolo di vederlo mutato, prima ancora che riconosciuto; i ragazzi perdono l'arricchimento del confronto, della ricerca e forse anche dell'errore, i genitori perdono equilibrio nell'ansiosa rincorsa al risultato, all'evidenza, alla messa alla prova.
Come mi diceva qualche giorno fa un'amica insegnante, si rischia di trasformare la didattica in un videogioco, in una gara a quiz. Ci si ritrova a distribuire nozioni come le carte di una partita a scopa, per dare l'idea che si sta andando avanti, che non li si lascia soli.
E invece non sono soli, sono isolati.
In tutta questa discussione nazionale ci si è distratti dimenticandosi una categoria di studenti, i ragazzi del fare, quelli che hanno scelto di mettere in campo altre intelligenze, che hanno scelto le mani, prima ancora dei libri. Quelli di cui non parla mai nessuno, perchè in Italia quasi non c'è un sistema che li consideri, tanto che ogni Regione si organizza come meglio crede. Quelli per cui, anche se in età di obbligo scolastico, il Ministero mette poche risorse e per il resto ci pensa il Fondo Sociale Europeo. Quelli che spesso nelle statistiche nemmeno compaiono. Quelli che coincidono con meno strumenti, meno consapevolezza, più difficoltà.
Questi ragazzi sono gli stessi che trovate quando andate a prendere un aperitivo, quando fate la messa in piega o portate la macchina dal meccanico. Loro avevano scelto una scuola professionale, pratica, in primis perchè seduti al banco, fermi, non ci volevano stare, poi magari si sono anche scoperti talenti di una professione che avevano avvicinato quasi per caso. Avevano imparato a coltivare dei sogni, che gli avevamo insegnato a far diventare progetti. Ora si è arrestato tutto, in una dimensione che paradossalmente il mondo definisce loro. Ci siamo raccontati un storia che non aderisce ai fatti: non sono tutti nativi digitali, perchè banalmente se non puoi permetterti i giga e gli strumenti, alla fine di tutta questa storia non avrai imparato come gli altri, non avrai raggiunto gli stessi obiettivi e i progetti saranno tornati ad essere sogni, troppo grandi per dar loro concretezza.
Gli insegnanti avranno curato contenuti, ma non il loro bene più prezioso che sono i ragazzi.
Quando finirà questa emergenza e tornerete al bar, dalla parrucchiera o dal meccanico pensateci, pensate al vuoto che ha creato la distanza, pensate alla didattica che si è persa nella mancanza di uno sguardo e nella mancanza della parità sociale.
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