domenica 21 febbraio 2010

La rivoluzione dell'ascolto


Benasayag dice:
"L'ascolto è la parola magica"

L'attenzione è spesso posta sulla questione delle difficoltà comunicative tra generazioni, in particolar modo con i giovani del nostro tempo.

Alla scuola, agli educatori si chiede forse troppo implicitamente di riempire il vuoto lasciato dalla società e spesso dai contesti famigliari.
Per rispondere ai nuovi bisogni nozioni e saperi non sono più sufficienti, per questo la scuola deve guardare a nuovi contenuti e a nuovi strumenti. Forse basterebbe concentrarsi sulle modalità.

Nelle modalità ci sta anche solo il puro ascolto, il porsi in posizione di apertura nei confronti dei ragazzi, dell'altro.
E' l'ascolto dell'altro che permette di coglierne le sfumature e i punti di forza. Senza scendere in un'analisi psicologica di chi si ha di fronte, dargli spazio permette di conoscerne gli schemi d'azione, le dinamiche comportamentali, affinchè si possano strategicamente utilizzare a vantaggio del discente.

Conoscere gli schemi d'azione permette di personalizzare gli interventi educativi.

Personalizzare significa cura educativa.
Personalizzare significa trovare insieme all'altro le parole per dire il proprio disagio, la propria difficoltà che sia di apprendimento, che sia esistenziale.

I nostri ragazzi crescono in una società dalle finte trasparenze, dove facilmente si mettono in primo piano le proprie storie e le proprie intimità, ma sempre più con difficoltà si analizzano le proprie fragilità. Non gli si sa dare un nome e per questo non le si può conoscere.

Si è parlato a questo proposito della generazione 20 parole. E' difficile capirsi se non si condividono i codici. Acquisire la consapevolezza che l'evoluzione delle generazioni porta inevitabilmente ad adeguarsi a tempi, spazi ma soprattutto a modalità può essere davvero il segreto per mediare piccoli successi quotidiani.
L'ascolto è il primo passo per la costruzione di un rapporto di fiducia. La fiducia è un processo che passa attraverso l'accoglienza del punto di vista dell'altro, la valorizzazione dei punti di forza, la facilitazione dell'espressione delle difficoltà e delle esigenze specifiche.

A questo punto mi sorge un dubbio: ascoltare può essere rivoluzionario?

2 commenti:

  1. Cercando di parlare ai figli 40enni del loro problema, cioè
    evitare - possibilmente - che i miei nipotini crescano come "cerebrolesi digitali"
    una rivoluzione dell'ascolto richiede che "io" impari a sintetizzare in 140 caratteri qualunque cosa voglio cercare di dire.
    So già che non ci riuscirò più, anche se ad ascoltare credo di essere diventato bravino.

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